#title Petardi e psicogeografia #lang it #pubdate 2025-10-04T09:17:32 Imprendibili sono i destini e i movimenti delle idee e dell’immaginazione nonostante le curvature imposte dai pavimenti marmorei, dall’asfalto coprente e dalle mura verticali di passeggi al sicuro dalle intemperie. Un vecchio brano degli anni ’80 suggeriva, e suggerisce, che you can’t stop the rain when it starts to fall, allora poco o niente può completamente genuflettersi al riparo e facendo uno sforzo ulteriore, o meglio una forzatura: non ha l’ottimo artista alcun concetto c’un marmo solo in sé non circonscriva? E spesso il mal che si fugge e‘l ben che si promette sta nascosto nel, o nel farsi, superchio. Cal aveva terminato le ore di lezione in università, era provato ed esausto dalla pace perpetua kantiana, ma soprattutto aveva lo stomaco angustiato dal recupero dello Stato degli Stati. Era una mattina d’inverno calma come del resto molte in quelle settimane, le vie laterali davano l’impressione del taglio degli occhi di un gatto domestico ancora indeciso se accettare di stiracchiarsi, o lasciarsi governare nuovamente dal sonno. Cal pensò fosse necessario godersi un buon caffè prima di fare ritorno a casa e riprendere lo studio. Era solito avere una camminata nervosa, svelta, come se fosse in competizione con il tempo ogniqualvolta decideva una destinazione; con questo passo si diresse verso un bar dove lavorava un amico, sapendo ch’egli avrebbe potuto soddisfare quella voglia di caffè e nella qualità ch’egli avrebbe gradito. Quando fu a pochi passi dal semaforo posto all’angolo che lo avrebbe avvicinato alla sua destinazione, in quel momento udì una voce che passava attraverso un megafono. Un nugolo di gente s’era riunito attorno al ricordo d’un giovane che, meno di cinquant’anni prima, proprio in quella strada, era stato ucciso dalla mano lercia di un difensore dello Stato, un carabiniere. Cal si fermò qualche minuto. Il tema della memoria era, per lui, spesso sigillato in un obitorio di luci e ombre pur valutando l’importanza di mantener vivo un ricordo, soprattutto quando questa è costantemente messa in discussione da narrazioni di governo. Ma non amava le commemorazioni, gli sembravano sempre troppo didascaliche, sentiva il peso del sudario del passato farsi pesantemente marmoreo in quelle occasioni – eventi più che occasioni. Sì, perché la memoria storica raggiunge più spesso il bisogno d’esserci che l’occasione di vita; il bisogno d’esserci che è anche la sua possibilità di raccontarne. Ecco come la commemorazione gli si presentava all’orizzonte: un eccesso di memoria che gratuitamente dona vitalità al potere evenemenziale disperdendone l’occasione. Certo, non aveva la presunzione di scorgere ognuno di questi elementi del pensiero in ciò che aveva di fronte mentre poggiava la sua spalla ad una colonna per ascoltare e riflettere. Riprendendo, poi, i passi che gli mancavano al caffè tanto desiderato, attraversò la strada per raggiungere il porticato che aveva di fronte. Lì, con lo sguardo diretto al presidio commemorativo, ad osservare come allocchi in braghe strette, notò cinque, forse sei, agenti della digos: occhiale da sole, braccia conserte, borsello a penzoloni lungo il fianco. Conquistati gli ultimi mezzi metri, Cal, virando a sinistra come se tracciasse un’iperbole equilatera, lasciò alla sua destra quel pezzo di fanghiglia senza perdere il contatto visivo con i dettagli che aveva selezionato durante l’attraversamento. Quella mattina, Cal, sentiva che tra una lezione universitaria un po’ noiosa, una commemorazione dall’atmosfera un po’ funebre, e un desiderio di caffè ancora da soddisfare, mancasse un po’ di pratica ludica, di gioco. La posizione in cui si trovavano gli allocchi ebbe su Cal un’idea catturante: va considerato come lo spazio urbano spesso sia, più che un quantitativo architettonico, un quantitativo di possibilità qualitative. Il procedere di quella mattina rischiava di mostrarsi come un racconto accomodato a qualunque orecchio, anche quello di chi era troppo preso dai suoi affari. Gli impegni e le urgenze diventano improvvisamente procrastinabili quando si accomodano narrazione ed ascolto. Ma Cal si chiese, piuttosto, come uscire da un percorso tracciato che avrebbe potuto invece raccontare nel mezzo di ascoltatori in fuga dal tremendo; un tremendo che quelle parole avrebbero affettuosamente accompagnato. A quei pensieri decise di dare una possibilità cambiando così il suo pianificato per altre vie: una di queste sarebbe sbucata proprio alle spalle delle braghe strette. Portava sempre con sé, in spalla, un sacco pieno di gioie al cui interno, tra una borraccia d’acqua e una raccolta di versi della sig. Selva Nera, c’era anche una trousse da pipa. Era solito fumarla in casa, la sera, dopo cena, tra un sorso di vino e una malinconica canzone di Nina Simone, per cui evidentemente la trousse non ospitava alcuna pipa; non era ad essa dedicata quella borsetta color vermiglio, ma ad una piccola passione adolescenziale. Allungò il suo percorso lasciandosi alla sua destra, questa volta, anche il bar dove si era dato appuntamento con una tazzina di caffè. Girando una serie di angoli ebbe di fronte a sé le spalle degli allocchi e, di là dalla strada, il presidio commemorativo, restando così in attesa di un campo d’azione più sgombro. Colta l’occasione accese vivacemente alcuni petardi lanciandoli in maniera un po’ disordinata al gruppetto di digossini appollaiato sotto il porticato. Gli scoppi avrebbero potuto riempire raccolte di ascolti meditativi; il loro eco, sotto il porticato, rimbalzava e si muoveva frenetico portando con sé un momentaneo congelamento del passeggiare turistico e indaffarato. Riuscì a ferire un paio di agenti (niente di tragico, ahimè, per cui possono stare sereni gli amanti del principio), gli altri avendo compreso cosa stesse succedendo cominciarono una corsa per agguantare il nostro furbetto protagonista. Egli, lasciando la sua coda di volpe di fumo durante lo scatto dietrofront, fece perdere le sue tracce nella geografia cittadina. Le lievi ferite diedero comunque agli allocchi una settimana di malattia; il giornale locale ebbe materiale da pubblicare; la commemorazione tutto sommato ebbe la sua carica deformante (senza contare che alcuni si dissociarono dall’accaduto); la morale ebbe il suo momento espressionista. Cal non diede peso agli occhi sorveglianti delle telecamere che, ovviamente, puntavano sul porticato, per cui non conosciamo nulla di quanto successe dopo. Sappiamo sicuramente che quella mattina non bevve il caffè tanto desiderato.