Titolo: Maw Kurruf Duguy Werken
Sottotitolo: Kiñewunngetuael
Data: 1/1/2025

    Nota dei traduttori

    PROLOGO

    INCHE

      CHALIWUN

      CHALIWUN

      Marichiweu

      Che sanno di pulko se non sono naghce?

      WIÑOTUIN (canzone)

    TAÑI REIMAWEN

      TAÑI EPU ÑUKE

      KIZYLELAIMI LOW (canzone)

      MIEI REWES

      ANTV

      WAGLEN

      PEÑIWEN

      SAYEN

      REWE ALIWEN

      WENULEF

      TOTO

      JUAN

      MARINA

      PELAO

      NAYI

      JAME

      COSTANZA

      IL VIAGGIO

      MELI WALUG

      WALUG KUYEN GENNAIO 1988 TRIPANTU

      WALUG KUYEN FEBBRAIO 1994 TRIPANTU

      WALUG KUYEN FEBBRAIO 1999 TRIPANTU

      WALUG KUYEN MARZO 2013 TRIPANTU

    MALAL RUKA

      VENERDÌ 12

      BISOGNA ATTRAVERSARE IL FIUME

      IL NARKI: “GATTO NELLA CUCINA”

      WEICHAFE ANCHUMALLE

      MARI MARI INCHE ANCHUMALLEN PIÑEN MALALTULEEN TEMUCO MEW

      PICHUNHUAIA PIUMA DI ANATRA

      MACHI MARGARITA

      DETTI e PENIERI NELLA SEZIONE COMUNEROS

      10+10 TAMI DEYA

      LE MIE MANI DI WERKEN (Canzone)

    RAKIDUAM

      HUINCA-WINKA

      NI WENUY

      PER UN WEICHAFE

      AYEKAN NUTRAM

      MAPUCHE IDEALE SOGGETTIVO

      UN DOSSIER SEGRETO

      12 DI OTTOBRE

    PU PICHIKECHE

      PICHIKECHE

      PICHIKE ÜL

      PULÜKAWEL (EPEW–PIAM)

      ANCHI AILEN (EPEW – PIAM)

      WEICHANCORRIDO (Canzone)

    EPILOGO

      PU CHE

    REGLE CHI ANTU EM MULELU NI

    PUNMAGI NI FELEN

    ALLEGATI

Nota dei traduttori

Ringraziamo Rafael, conosciuto personalmente da alcuni di noi nel carcere di Temuco (Wallmapu, territorio mapuche occupato dallo stato cileno) negli ultimi giorni di maggio 2025, per averci fornito la possibilità di tradurre il suo libro in lingua italiana.

Riguardo alla definizione di prigioniero “politico”, evidenziamo che non condividiamo minimamente la differenziazione tra prigionieri “politici”[1] e quelli “comuni”, per il semplice fatto che riteniamo qualsiasi luogo detentivo, che sia un carcere, una struttura psichiatrica chiusa, un CPR per migranti “senza documenti” o un allevamento per animali, una realtà abominevole e di annientamento dell’identità umana e animale, e solo degno di essere abbattuto. Luoghi non certamente riabilitativi come il dominio vuole narrare in ogni dove, solo becere filastrocche ideologiche necessarie a ottenere la credibilità da una cittadinanza sempre più servile. La finalità "democratica" di tali strutture è quella di mantenere violentemente i rapporti di forze vigenti nelle società autoritarie, nelle quali le logiche di potere, dettano le regole del gioco, ovverosia le regole della fantomatica “pace sociale”.

I meccanismi violenti di funzionamento delle strutture coercitive dimostrano oggettivamente la loro reale funzione, e conseguentemente svelano, a chi ha il coraggio di osservare la cruda realtà, l’ipocrisia della loro funzione "sociale e riabilitativa".

Idealizzare il “prigioniero”, sarebbe come mitizzare il “mapuche”, negando ogni complessità e ricadendo nel vortice ideologico.

Anche nel mondo mapuche ci sono realtà e individui con cui noi non abbiamo nessuna affinità, visto che sono a dir poco venduti alle strategie di frammentazione messe in opera professionalmente dallo stato e dal capitale, con le loro politiche estrattiviste, coloniali, e di musealizzazione dell’identità mapuche.

Anche il “prigioniero”, a prescindere dall’atto “criminoso” di cui è accusato o condannato sulla base di un codice penale creato da un miserabile stato, non deve essere considerato un soggetto da recludere dietro alle sbarre, in luoghi coercitivi solo in grado di aumentare le problematiche esistenziali o culturali, e a reprimere i comportamenti positivamente devianti che sono espressi da individui o gruppi, che non accettano di sottomettersi alle violenze strutturali della società, spesso legalizzate dallo stato.

Libertà per i mapuche incarcerati, libertà per tutti e tutte! Per la riappropriazione territoriale, culturale e spirituale. Autonomia e libertà per i Mapuche in lotta!


La vendita del libro è finalizzata a sostenere i prigionieri.


Le individualità del collettivo Lotta Mapuche.


[1] PPM preso politico mapuche – prigioniero politico mapuche

PROLOGO

Rafael Pichun Collonao, “Rafa”, è figlio della resistenza che ha caricato sulle proprie spalle una vita di sacrifici quando era bambino, e di persecuzioni da giovane, come lo è stato per la sua famiglia in Temulemu, per la sua comunità e dopo come weichafe* e werken* della CAM (Coordinamento Arauco Malleco) fino all’attualità.

Rafa è il mio “wenuy”, come lo fu il padre, il lonko Pascual Pichun. Ogni volta che arrivavo a Temulemu, per condividere documenti che avevo incontrato e che servivano per “sostenere” la lotta per la riappropriazione territoriale, la madre Flora mi si avvicinava, mi abbracciava e diceva, con la sua voce grave e accogliente, “guarda chi è arrivato, il wenuy del Lonko”. Questo fatto mi riempiva di orgoglio come quando Rafa mi chiese di scrivere alcune parole per il prologo.

Devo dire che quando mi è arrivato il testo mi sorpresi positivamente, per la forza dei suoi testi e la profondità delle sue parole, per la sua capacità di descrivere in modo accurato, e ironica quando lo merita, i fatti che ha vissuto lui, la sua famiglia, il suo Lof, e nel farlo va oltre, trasformandolo nella storia del popolo mapuche. Rafael Pichun ci racconta generosamente parte della sua vita, della sua infanzia, descrivendo i lavori che svolgeva quando era ancora bambino, andando al paese la notte precedente, camminando con i buoi che caricava durante il giorno. Camminava otto ore di andata e 8 ore di ritorno, con i suoi fratelli minori, lui con solo 13 anni, a vendere verdure dell’orto familiare o la legna che recuperavano nei terreni delle aziende forestali vicine, che alcune volte nel passato furono della comunità e che oggi sono tornate ad esserlo. Tutte attività finalizzate all’aiuto dell’ ”economia” familiare. Giocando a pallone con i suoi fratelli e tutta la famiglia, che loro stessi costruivano, sorvegliando gli animali e portandoli a bere l’acqua al fiume. Attraverso dei ricordi della sua infanzia, Rafa ci descrive l’infanzia di molti pichikenche (bambini) di Wallmapu, storie nelle quali molti abitanti a sud del Biobio si vedranno ritratti, e questo ha un grande valore.

Ora, con il trascorrere degli anni, Rafa ha trasformato la vita sacrificata del bambino mapuche, nel migliore apprendimento, riscattando il piacere di vedere la famiglia a unirsi per celebrare il ritorno al campo di quelli che furono per un tempo in città. Narra dell’arrivo della primavera, e in questi tempi l’unica, della bicicletta, delle risate durante le camminate all’alba con i suoi fratelli, dell’aiuto nel mungere le mucche, ricevendo come premio il “primo latte” ai piedi della vacca, di cui il primo era per i vitelli. Tutti momenti che si trasformarono in valori, in principi, che marcarono a fuoco la sua crescita e la sua dedizione, il suo impegno per la resistenza e la riappropriazione della dignità e del territorio mapuche, e com‛ è stata la sua storia, con momenti di sacrificio, di dolore, della dedizione per i suoi sogni, di repressione e di carcere.

I testi che ci consegna parlano anche di quello, della repressione, della persecuzione giudiziaria e delle istituzioni dello Stato cileno al quale fu sottoposta la sua comunità, suo padre, il Lonko Pascual Pichun, le sue madri, Flora e Yoya, i suoi fratelli e sorelle, i suoi nipoti, i suoi figli, a partire dalla fine degli anni ‛90 e fino ai giorni nostri. Un castigo per rivendicare le loro “terre antiche”, che formavano parte dell’antico Lof, quelle terre che confinavano con le comunità vicine, nella Collina La Mula, un “segnale” per suo fratello Juan Pichun, oggi Lonko, dove si trova un Eltun (cimitero), dove furono seppelliti gli antenati. Nel medesimo luogo si trovano importanti siti sacri, protetti dai Ngen Pulükawel, quei terreni che arrivavano fino al fiume Colpi, quelli che formavano l’antico Lof e che a partire dall’Occupazione Militare del Wallmapu, furono depredati prima militarmente e dopo attraverso aste fiscali a favore di proprietari terrieri dando origine al fondo Nanacahue. Oggi è proprietà della famiglia dell’ex Ministro di Stato e membro del Tribunale Costituzionale, un certo Juan Agustín Figueroa, e Santa Rosa de Colpi, propietà dell’azienda forestale Mininco fino al 2012, quando fu oggetto della riappropriazione territoriale messa in atto dalla comunità Temulemu nonostante che manteneva il controllo del terreno già dal 1999.

Come ben ricorda Rafael Pichun in queste pagine, “da quel giorno, per la nostra famiglia non è stato più lo stesso, diventando da quel momento nemici dello Stato cileno”, e questo ha comportato numerose perquisizioni, senza farsi problemi per la presenza dei bambini, anni di clandestinità, e arresti.

Rafael Pichun ha vissuto sulla propria pelle il “razzismo giudiziario”, l’assenza assoluta del “giusto processo”, come parte del Lof Temulemu, e da un tempo a questa parte, come weichafe e werken della CAM.

Quando l’imputato è cileno, questo è innocente fino a che si provi la sua colpevolezza, in cambio, quando l’accusato è mapuche, dal principio è dichiarato colpevole, e tutti gli sforzi, che non sono pochi, sono finalizzati a provare la sua innocenza. Se questa si otterrà, che è difficile, bisogna considerare la conformazione delle corte dei Tribunali, ovverosia è composta nella sua maggioranza, da discendenti di coloni o soggetti vincolati alle aziende forestali. I lunghi anni in prigione preventiva sono un castigo ai quali sono sottomessi i Prigionieri Politici Mapuche che riempiono le carceri di Traiguén, di Angol, di Temuco, e della città di Valdivia.

Chi risponde per gli ingiusti anni in carcere? Chi si fa carico degli anni nei quali furono, senza nessuna ragione, lontani dai loro figli?

Il padre di Rafa, il Lonko Pascual Pichun, fu incarcerato per cinque anni nel carcere di Traiguén, dove si ammalò di polmonite, coseguenza del rigore delle condizioni carcerarie e del freddo. Tale patologia lo accompagnò fino all’ultimo giorno della sua vita, il 21 di marzo del 2013 all’età di cinquantanove anni, senza poter godere delle terre recuperate per il quale tanto lottò. La sua morte arrivò dopo la sentenza della Corte Internazionale dei Diritti Umani, in data 29 maggio 2012, nella quale lo Stato cileno, durante il processo giudiziario che fu oggetto il Lonko e altri dirigenti mapuche, fu giudicato non rispettoso delle regole del giusto processo, del diritto che è rispettato per ogni persona, meno per il mapuche. Lo Stato cileno effettuò numerose irregolarità, violando il diritto della difesa a interrogare i testimoni, si usarono testimoni senza identità e, nel caso del Lonko Pascual, non si rispettò il fatto che si trattava di un’autorità mapuche.

Le lettere che oggi ci consegna Rafael Pichun e che sono pubblicate in questo libro, in una storia che sembra non avere fine, sono inviate dal carcere, luogo che conosce bene già dal 2003 dove fu condannato, insieme a suo fratello Pascual, per il delitto d’incendio, sentenza basata su falsi testimoni e prove senza fondamento, Tali aspetti sono stati denunciati dai loro familiari, che furono provati nel processo.

Recentemente, nell’aprile del 20024, fu detenuto in virtù di un ordine di cattura che non era vigente, inaugurando una costante persecuzione. Ora nel ruolo di portavoce della CAM, senza provare alcun reato, è stato successivamente accusato di attacco incendiario a Quilleco, senza nessuna prova riguardo alla sua partecipazione ai fatti che gli sono imputati. Rafael è soggetto a detenzione preventiva, e accusato di essere l’ ”attuale portavoce di una organizzazione radicale”, ovverosia per le sue idee, e non per fatti delittuosi. E‛ accusato nuovamente di essere portavoce della CAM, per le sue idee e riguardo a fatti successi a Purén, quindi soggetto a una doppia carcerazione preventiva, e peggio ancora, considerando la documentazione prodotta dalla Commissione dei Diritti Umani, senza considerare minimamente il suo essere mapuche. Tutto risponde, come denuncia la sua famiglia, a una “politica repressiva che si manifesta attraverso il potere giudiziario decretando detenzioni preventive che corrispondono a pene anticipate, ovverosia un castigo anticipato”.


Martín Correa, storico


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INCHE

CHALIWUN

Mari Mari kom pu peñi ka pu lamgen pu lonko pu lewengelu pu werken weichafe fil pule mulelu.

Inche werkengen bachantu kiñe pichin duguan ta mogelel mew

Mari Mari kom pu che alkutulelu banten mew ka newentelelu dugumew

Beimay pu wallmapu pu ke choyun newentulelu ka petu amulelu ta tain kuibi ni dugu Mapuche mogenmewga nielu piwke kume rakiduam, bei witraleimum weichan dugu ta kume ta mogeleal bil ngen, tain Mapuche mew inchin petu trekalein tani wiñotual ni kumeke mogen ni kubi ni yem mew ya, tani kubi chegenga kume llene llenekefuigun ta ke dugu may ta kume mogelealu inchin bantenmewga.

Mulekefui trake kimun, mulekefui fentren Mapu ni kume feleal, fantenmew puke katripache akulu ni weñeal tain Mapu, beimew amulepe tain weichan, puche wiñotupe tain kuibi ni mogen kiñetulelein ga kom pu Mapuche ga kume beletuain kume amuay tain wichan, beimew kiñe wirran mew aukinkoga tripakey neyen mew tain piukepule wewain ka marichiweu.

CHALIWUN

A tutto il Wallmapu, questo saluto è dalla prigione politica nella quale mi trovo.

Per tutte le autorità del mio popolo, pu lonko, pi machi, pu kona ka pu weichafe, a tutti i lof in lotta e in resistenza, peñi ka lamgen, amici rivoluzionari, a ogni controllo territoriale, alle distinte ORT, un grande saluto rivoluzionario.

Inche Rafael Pichun Collonao pigen werken.

Vengo davanti a voi, ancora una volta, per mettermi a disposizione della lotta, per continuare a difendere la vita meravigliosa che ci lasciarono i nostri antenati e tutto quello che ci ha mantenuto vivi fino ai giorni nostri. La terra è stata luogo di battaglie, grandi battaglie, delle quali siamo usciti vittoriosi. Sconfiggemmo l’Impero Inca, l’Impero spagnolo e oggi continuiamo a lottare per la nostra liberazione. Siamo un popolo d’onore e di gloria e il nostro orgoglio appartiene al nostro popolo. Oggi parlerò poco, il giusto e il necessario, per mantenerci in piedi e fermi nei tempi della massima repressione nella quale ci troviamo, portando avanti con più forza che mai il nostro progetto politico per la nostra liberazione, con il lavoro strategico che ci caratterizza nei controlli territoriali, lavorando per l’autonomia e la ricostruzione mapuche, con feyentun y kimun.

Il weichafe è più presente che mai, continuando a portare avanti il mandato della terra, per fornire una feroce difesa fino a conseguire la sconfitta del nemico estrattivista e oppressivo.

Siamo in tempi difficili, si molto difficili. I veritieri weichafe dovranno coprirsi con armature di acciaio per impedire il passaggio, perché la storia è dalla nostra parte, costruita e tracciata durante mille di anni da donne e uomini mapuche e per questo non retrocederemo mai pu che.

Con il nostro newen faremo che si sollevi tutto l‛ iltrofilmogen della mapu, loro sanno che sicuramente li riempiremo di forza infinita, del nostro piwke, con determinazione. Chi si rivolge contro il nostro popolo, abbaiando come un cane e con il tradimento, la terra lo giudicherà e il suo cuore andrà in putrefazione prima che canti il gallo. I fedeli e leali combattenti, seguiranno a seminare la terra e felici raccoglieranno i frutti in un territorio che tornerà a essere fertile, e a quel punto arriverà il momento esatto nel quale i quattro venti della Meli Witran Mapu si uniranno in una sola volta. Ci saranno echi di speranza per innalzare l’urlo della resistenza, perché griare “weichan ka marichiweu” è un gran atto di amore e ribellione.

Marichiweu

Inche werkengen tani mapumew

Beimew tripakey tani piwkemew

Ta ni kuifi tain mogen

Temulemu Kuze

Temulemu Fucha

Yiw yawen kuze

Yiw yawen fucha

Alkutuaen tani dugu

Che sanno di pulko se non sono naghce?

Trarrilonko de llüfllüf con il nastro colorato

Sangue nel paliwe e il suo buono harinao

Machitun con newenko y külon

Vittoria nella battaglia di Curalaba

Likan machi lawengelu

Siccità in estate

Fuoco alle aziende forestali

Gran toqui Pelontrarü- Pürenü

Lonkomew purun con fisarmonica

Mate con malizia y kochikura

I segreti del kuel ka renü

Kutral karra Lumaco 1881

Tre camion a Lumaco 1997

Che sanno del pulkü se non sono nagche?

WIÑOTUIN (canzone)

Nella terra de Pelontrarü

è tornata a ribellarsi

La gioventù Mapuche

Nel controllo territoriale.

Fu all’alba che ho

Deciso di lottare

Convocarono i ngen

Alla loro terra torneranno.

I peñi con i loro wüño

Le lamgen con il loro chamal

I weichafe con la loro tralka

Disposti a liberare la loro terra.


Domani già torneremo

Oggi già siamo tornati

Wule wuñujin

Feula wuñuyin


Qui c’è il newen

Dei kuifike che così come arrivarono

Ora continuate voi.

Gli yanakona non mancano

Si sente che stanno piangendo

20 anni aspettarono

20 anni ancora dovranno aspettare.

Qui vengono gli sbirri

Si ascolta in un luogo

Inutile dirlo

Che sono cani del capitale

Suonano i proiettili

Che spara il guardiano

E la risposta è contundente


Con i weichafe della CAM

Questa notte perturberò la pace

Dei tuoi sogni

Mio complice ed io inviteremo

Non incendiare i tuoi pensieri.

Questa notte, avanza lentamente al centro immaginario

Dove l’uomo libero

Vive e muore per essere.


Tufa chi pun amuan

Welultuayu tami pewma

Fey ta muley ta inchin wenuy

Uyuay kutral reke

Tami rakiduamgelu

Tami chem pial chi

Bei mew amualu inche

Nochi nochi yafutulean

Chew umautuleayaimi

Nochi amuan beimew

Wentru ga wentru amulu

Chew ni lay ka mogelfel.


Con la pioggia di questo inverno

aggroviglia i tuoi pensieri

Tufa chi pun ye may.

Con tutta la forza del freddo

Perturberò la pace dei tuoi sogni

Tufa chi pun ye may

Allora piove e fa freddo

Dormirai baciando il mio nome

Tufa chi pun Ye may.

Questa notte ti ho visto brava e bella

Termineremo nei baci all’infinito

Tufa chi pun ye may.


Che voglia di prendere la tua mano ayinwen

In questa sparatoria

Griderò il tuo nome ai ngen

Kizugelelayan anay

Kizunewlelayan anay.


A vedere così no, no, no…

Io sono werken della rivoluzione Mapuche

Non cambierò i miei pensieri

Io non porterò questa catena

Che la carichi un altro:

Il significato

Il fifone

Il soggetto yanakona

L’auto-colonizzato

Lo sbirro

Il Mapuche forestale

L’estremista fanatico

TAÑI REIMAWEN

TAÑI EPU ÑUKE

Oggi mi vistarono nel carcere di Temuco, le mie due madri.

Aaaahh…Che? Non sapevano? Io ho due ÑUKE, ‘EPU ÑUKE’: mie mammine.

Oggi mentre aspettavo nel corridoio di questo maledetto carcere e capire chi mi veniva a visitare, sorprendentemente vi camminare tra le sbarre, i poliziotti e la moltitudine, le mie meravigliose madri. Accompagnate da mia figlia Dayen e la nipote Amancay, con suo papà.

Camminano, così come se volessero abbattere tutti, con il newen che porta la mammina “Poya” che dirige questa piccola truppa, questa vecchia guerriera già consolidata da tempo da quando era molto giovane, ora tremche weichafe domo. Mi guarda, io la guardo, e penso come ha passato gli anni. Io qui spezzato però fermo. Lei mi trasmette sicurezza, è la leonessa che protegge i suoi cuccioli senza dubbio è la leader naturale. Mi bacia con molta tenerezza, con le mie lacrime sciolte volontariamente e mi saluta: “Marri, Marri koñi”.

Successivamente la mammina Yoya fa lo stesso, lei è puro amore…E‛una donna Mapuche di cuore, però di profilo basso, e trasgressiva e parla puro Mapudungun. Oggi l’ho vista ferma, guardandomi fissamente, si avvicina per abbracciarmi e per chiedermi, come più di una volta ha fatto: “Kumeleimi May? Chuleimi figlio?”

Accarezza il mio viso, mentre sorrido, per dimostrare che continuo a tenere newen, come tante volte mi consigliarono, per lei è importante che io rimanga forte.

Aahhh…Che non sapevano che ho due madri?: Epu Ñuke Nien.

María y Flora Collonao Millanao sono le mie madri, il mio chaw em lonko Pascual Pichún ha tenuto le mie due madri come compagne e amori della sua vita, una famiglia composta da sette fratelli: tre figlie, quattro figli, e le mie due madri. Questa è la mia famiglia Pichun Collonao.

Sono nato nella ruka dei mie nonni paterni Pichun Paillalao.

La mia nonnina Olga fu Peñelchefe/lawentuchefe, il ruolo che svolse nel lof quando arrivai al mondo. Fui ricevuto da lei e mi dissero che avevo due madri: una mi partorì, l’altra mi prese tra le sue braccia e lasciò a riposare mia madre che mi aveva appena dato alla luce. Insieme alla mia nonnina mi realizzarono tutte le cerimonie che ancora si svolgevano in quegli anni (1980), Nguillaituima, ci portarono al trangenko per presentarci al mondo, sempre tutto molto relazionato con la spiritualità. Mi bagnarono e mi grattarono il viso, mi fecero lawentun per vedere che ruolo potessi svolgere in futuro.

La grattata del viso fu per evitare di avere molta barba, quando cresceva, e così non sembra un katripache; nel lawentun mi controllarono se potevo tenere qualche difetto fisico e psicologico, e si accorsero che la mia lingua era attaccata. Possibilmente avevo problemi per parlare nel futuro, così, come mi raccontò la mia nonnina Pichun, mi fecero un lawentun sotto la mia lingua, per parlare normalmente.

Così sono nato e così fui cresciuto, sotto questa formazione Mapuche, con una famiglia gigante, con discipline e ruoli da quando ero piccolino.

Quando avevo attorno ai sette anni mi accorsi da solo, e lentamente, quale delle due donne mi ha tenuto nella sua pancia e cominciarono le mie domande. A differenza degli altri tanti fratelli, io mi feci questa domanda perché era difficile cogliere la differenza, per il fatto che sono entrambi mie madri, mi amano e le amo infinitamente entrambe.

Una mi partorì, l’altra mi ricevette quando mi comportavo male, una mi castigava, l’altro era permissiva, una m‛ insegnò l’obiettivo della vita, l’altra m’insegnò a essere soggettivo, una m‛ insegnò a essere rispettoso, l’altra il mio lato artistico, in fine ho ricevuto la formazione nella vita da due donne.

Credo che la mia personalità fu modellata da loro, per essere un buon essere umano e, soprattutto essere un buon Mapuche. Nell’attualità sono werken, però prima fui anche un weichafe, e continuo a essere accompagnato dalle mie Ñuke.

Durante l’estate del 2006, io ero incarcerato a Traigén, e ricordo la notizia di mezzogiorno che si trasmetteva in una radio di Traiguén “Donna Mapuche aggredisce il presidente della Repubblica Ricardo Lagos”. Furo le mie madri Flora –Poya. Furono insieme a mia cognata Ingrid, a manifestare per la mia incarcerazione, credo che fu impossibile, non furono ascoltate e reazionando colpirono Ricardo Lagos con un pugno. Furono detenute in una cella della caserma della città.

Oggi mi sono venute a visitare le mie vecchiette, qui nel carcere di Temuco, nel mese di luglio 2024, freddo inverno, come lo fecero cento volte dall’anno 2001 al 2008. In quegli anni io fui un prigioniero politico mapuche nel carcere di Traiguén, Angol, Temuco e Victoria. Lo Stato cileno m’incarcerò e oggi mi trovo ancora detenuto, per essere portavoce della lotta del nostro popolo.

Sono Werken e con il suo nütram, una e un’altra volta mi sollevano con allegria per continuare a resistere nel Weichan. Loro m’insegnarono a volare ed è un dovere volare oggi per il Nostro Wallmapu.

KIZYLELAIMI LOW (canzone)

E continui camminando

Continui costruendo

Quell' amore immenso

Quella vecchia un giorno mi parlò

Mi sorprende vederla

Entrando in carcere

Con molta dignità

Dando un forte colpo

Nel suo sguardo


Questa vita continua a essere dura

Guardo questo cielo dimmi dov'è

Un'altra volta in inverno è difficile

Ci è toccato tornare a vivere

Parlo con il mio vecchio

Come l'altra volta

Che continui a darmi forza

Al nostro figlio del nostro amore


Beula kizulelaimi low

Muley tamiepu pichikeche

Gumakelaymi anay

Mulein kom inchin

MIEI REWES

E' giusto all'alba

Comincia il giorno e schiarisce

Prima di ciò è scuro

O molto scuro

Senza dubbi sono il mio sole

Mie lune, mie stelle

Splendidamente mia luce

Antumilla, wanglen, lienad

Sayen.

Fentren piwkeylein


Uñum reke müpuyawun

Tani winkul temulemu mapumew

Trafia pewmafin tani reima

Pefin kom eimun ni che

Pu eimun piukemew niefin

Pu ke Pichun

ANTV

Sto pensando a te

mente mi sforzo,

per scatenare il mondo.

Rifletto se già sei cresciuto,

Sono passati anni giusto?

Io lentamente quaranta e più,

Tu, ventenne a tuo ritmo.

Tu con tutto il newen,

Ti sale il fuoco a guardare.

Giusto io alla tua età

Salvando la mia pelle sei arrivato

Uniamo le nostre mani

Per sigillarci in amore.

Come dimenticare questo giorno?

Yo incarcerato fino all'osso

E tu volendo liberarmi.

Già sono passati 22 anni

Niente è cambiato.

Come dimenticare che ho scritto

Una canzone per te:

"Antumilla guardami",

L'hai mai ascoltata?.


Oggi sei tornato a visitarmi figlio

Un'altra volta in prigione politica.

Un'altra volta.

Continua a lottare sempre più!!!

WAGLEN

Se a volte ho smesso di pensarti

Mi sono autocensurato al limite

I tuoi battiti erano instancabili

Dall'altra parte del solstizio

Alla fine è stata la liberazione del mio piwke

E del tuo, senza fredo alcuno di incontrarci

Adesso senza rendermene conto

Sei andato, sei e sarai la mia costellazione.

PEÑIWEN

Maño e Margarina sono cugini della stessa età.

Quando avevano 4 grandi anni

si accordarono per un magnifico piano,

per passare un pomeriggio insieme alla casa delle mamme.

Maño fu il primo che arrivò nel luogo di incontro,

Margarina ci mise più tempo ad arrivare.

Maño molto nervoso guardava la sua meridiana in mano,

camminava su e giù.

Margarina arrivò

Maño perse la testa dall'emozione,

stavano sul punto di mettere in atto il piano:

Maño portò la palla,

Margarina il disegno della malvagità,

Maño lasciò la palla sul pavimento, Margarina calciò:

E cosa prese?!

Ruppero la televisione.

Maño e Margarina spensero la televisione delle mamme.

Maño e Margarina non hanno ancora pagato la tele delle mamme.





SAYEN

Ñawe di mio piwke intergalattica,

Con questi occhi ancestrali ruvidi e teneri,

Sicuro sono eredità delle mamme,

Che ritornano alla mapu che ci ha partoriti,

Con allegria e dolore,

una e un'altra volta.

Cantiamo?

La vita difficile che ci è toccata,

Risolvere la situazione è dolore,

Io non ho chiesto di essere il tuo sole,

Non voglio essere oscurità.

Solamente ti amo. Scatenerò un temporale.

Dimmi se ci sei ancora, Chaw,

Guardo le stelle, dimmi,

Dov'è mamma?

REWE ALIWEN

Sei selvaggio ñor

Non hai limiti

Combatti con il gallo

Il gatto, il cane,

Un giorno combatterai

Come un leone come me?

WENULEF

Nella terra Temulemu, torno a rinascere.

Dicono che sia perfettoooo

Selvaggio

Liberooooooo

Bello.

Dicono che sia come un pellin,

Perfetto, come le erbacce di questa terra, carrumba o rovi.

Selvaggia, come un leone o volpi.

Libero come il fiume Colpi o queste vacche.

E' un pellin che vive per non morire.

"che viva Rafael 3°"

"che vivano i Rafael"

Amulepe Wenulef Marichiwew

TOTO

"La mia famiglia è numero e grande,

Ho tre ñuke,

Quasi 50 cugini.

Siamo sette fratelli:

Tre donne,

Tre uomini,

E io".

Uno dei miei fratelli ha detto in una intervista:

"Marina, Jame, Nayi, Juan, Rafa, Pelao.

E io..."

JUAN

Nell'aereoporto di Parigi,

in un viaggio realizzato per il Lonko,

Fu detenuto dalla polizia francese.

In una chiamata telefonica ci ha detto:

"Mi vogliono esportare".

MARINA

Ayayai dice una brutta ragazza davanti a una bella ragazza!

Perchè a me non mi vogliono,

avendo la stessa cosa?

(Grida appasionatamente mia sorella maggiore allegramente in una celebrazione).

PELAO

Cosa studia suo figlio minore, gran lonko Pascual?

Domandò un gringo.

Mio figlio studia Astronomia.

Oh che bello! , Dev'essere costosa questa carriera?

Mmm...studia al liceo Guacolda di Chol Chol.

Pelao interviene:

No,no...io studio gastronomia ñor…!!!

NAYI

Sorella tanto bella la quale sei,

Sorellina, ti sei imparentata con un uomo tanto brutto,

"Si, però ha buona energia ed è tenero".

JAME

Ieri sono passata per casa tua....

Nello stesso modo!



Le nostre radici avanzano, vivono, sognano, ridono, creano un mondo felice...

Pu ke folil amuli pewmamew

Molegeigun ni ayiwmew muleigun moyeleigun…


Katy, Weki – Ayin, Liki, Antvmilla, Wage, Lemu, Lauta, Pele, Ayelen , Ilwen, Mankian, Maño, Newen, Kalfuray, Pascual, Pewun, Aliwen, Tayel, Sayen, Amankay , Rafael, Franco.



Una mattina molto fredda di inverno, mi alzavo dal mio letto per andare in un luogo ancora più freddo, l'andare lì mi dava tristezza e brividi, però lo stesso non mi importava.

Avevo qualcosa di molto importante da fare ed ero molto felice per questo. Nella mia vita già ero passato per una situazione simile, mai ho sperato di tornare a viverla. Questa volta era differente, già per il fatto che mai ero stato in quel luogo, avevo paura di farlo.

7.30 a.m. Della mattina viaggiando verso Temuco, una città che sta a due ore da casa mia, con felicità e paura. Arrivando a Temuco, passai in un negozio a comprare pane, dato che era la prima volta non sapevo cosa portare né che fare.

Arrivai fuori da questo luogo, pieno di gente sconosciuta. Ero fuori da un carcere.

Aspettai come un ora per poter passare, le persone di lì come i lavoratori erano molto pesanti, fredi, gridavamo molto, la verità è che non sapevo che fare lì.

Passai con mia mamma, prima ci fecero attaccare alla parete , e ci dissero di non fare nient'altro. Ci sfidavano come se sapessimo cosa fare lì, mia madre era da molto tempo che non viveva ciò, ci perquisirono e ci dissero che avevamo delle cose che non potevano passare, abbiamo dovuto buttarne alcune.

Dopo siamo passati a registrarci, c'era una macchina a controllarci.

Avevo molte emozioni contrastanti. Aspettai ancora circa 30 minuti per poter passare a incontrare una persona importante della mia vita, il quale era mio zio Rafa.

Lui è una persona divertente che io so che mi vuole molto bene. Arrivai dentro, continua a vedere gente che non conoscevo e tra tutta questa gente vidi mio zio. Era triste vederlo lì, la verità è che quando entrai mi fecero venir voglia di piangere, però mi trattenni perchè non mi piace farmi vedere. Abbiamo parlato di molte cose, furono ore di risate e storie che mi raccontò.


31 di ottobre:

Ancora c'è mio zio incarcerato ingiustamente, mi manca.

In verità non sono andato al carcere da agosto, per gli impegni di mia madre, le è difficile andare in certe date, in settembre hanno spostato mio zio a Traiguén, il comune che rimane a noi più vicino. Era molto felice perchè così qui sarà più facile vederlo. Non lo vidi.

Mi viene tanta nostalgia se lo sono voluti portare di nuovo in Temuco per alcuni problemi che ha avuto lì a Traiguén, eravamo tanto felici e all'improvviso se lo stavano già riportando, vedevo mia nonna piangere per suo figlio, mai abbiamo capito perchè se lo riportarono via.

Ayele



COSTANZA

Avanza ferocemente

Evitando sguardi e colpi

Volendo rompere le grate

Eternamente mi bacia

Avanza felicemente

Già non importano i colpi di porta

Grido melodie malinconiche

Ragione per cui aspettai il tuo sole


Mari Mari Ayin

¿Chumleimiam? Kumelen

Wankutu matetuayu

Fantenmew akuimi may

Muna piwkenieyu anay.


Termina la visita.


Solo i nostri cuori

Complici sanno

Portare questi sentimenti

Con ribellione scatenata

Lottare per la libertà

Sarà il nostro cammino.


Pewayu ayin ni pewmamew.


''Alla fine del viaggio c'è l'orizzonte

Alla fine del viaggio partiremo di nuovo

Alla fine del viaggio comincia un cammino

Un altro buon cammino da seguire

Scalzi contando la sabbia

Alla fine del viaggio siamo tu ed io intatti

Rimaniamo quello che riescono a sorridere

Nel mezzo della morte, in piena luce ''

(Alla fine di questo viaggio, S. Rodriguez)


IL VIAGGIO

Sono uscito dal tribunale di Los Angeles, dopo quasi quattro ore in cui ho ascoltato come gli avvocati del governo, dell'impresa forestale Arauco e la Procura (procuratore Yañez) cercavano di argomentare, in qualche modo, la detenzione di Rafa. Quel giorno ci siamo visti per l'ultima volta prima che fu portato in carcere a Temuco, per una finestra, alle 6 del pomeriggio circa, un sabato 13 di aprile.

Salì in auto insieme a sua madre, sua sorella, sua figlia e i suoi cugini. Tramontò nel cammino. Nella radio dell'auto suonava ''Kizulen'', una canzone che Rafa scrisse a sua madre alcuni anni fa, quando prese fuoco la sua ruka.

Sua figlia ''Sayen'' mi abbracciò e io e lei piangemmo insieme. Non so se piangevamo di pena, o rabbia, o di sconforto, o di paura.... non riuscì a capire che cosa sentì in quel momento, però fu un viaggio senza ritorno. E' come se niente ritornò da quella sensazione di incertezza. Quando qualcuno che ami è in carcere, è come anche una parte di te lo sia. Niente ti fa sentire meglio, non c'è niente che ti possa togliere questa sensazione di ingiustizia in cui è evidente il peso dello stato, il suo razzismo strutturale, il suo classismo, e soprattutto, questo potere di metterti nel tuo luogo: non sei nessuno, non hai importanza, né tu, né i tuoi antenati e il loro abitare millenario in questa terra, non importa la tua faccia scura, i tuoi occhi a mandorla, il tuo mapudungun incastrato nella lingua, le tue mani consumate dal lavoro della terra, nel campo, non è importante il tuo capello liscio, non importa il tuo rewe, né il tuo ruolo di autorità ancestrale dentro la tua comunità. Non sei niente più che un delinquente comune.

"Qui non è applicabile il Convenzione 169", ha detto il procuratore Yanez quel pomeriggio. Allora quindi…Da chi vieni temuto? Anche se sei un “nessuno” davanti alla legge, ti temono profondamente. E‛ qui dove c’è la speranza, disse Raúl Zibechi, riferendosi alla paura dei “nessuno”. Quel viaggio ancora non finisce. Nemmeno conosco il destino. Solo so che passi quello che passi, usciremo vittoriosi, perché la storia ha dimostrato che niente fermerà la lotta dei popoli oppressi, e che né il rakiduiam né il feyentun muoiono né con la carcere né con i proiettili. Arrivò la notte a Temulemu, e quel giorno arrivammo alla casa delle mammina di Rafa e non c’era mate, ne risate. Dormimmo tutti presto, in uno strano e difficile sogno…

“Ogni generazione nella sua relativa oscurità, deve compiere la sua missione o tradirla” F.Fanon

ayinwen



Quante grida di guerriero ha fatto eco il mio chaw che risuonò nelle colline di Temulemu:

“Perché qui sappiamo bene, come mapuche, che riceviamo critiche. Inizialmente, negli anni passati, dicevano che eravamo ubriachi. Nella seconda parte dicevano che eravamo fannulloni. Nell’ultima parte, quando iniziammo ad alzare la bandiera e tutta la questione, diventammo terroristi. Questo per le idee della gente che ha governato questo paese (…)”

Lonko Pascual Pichún Paillalao

MELI WALUG

WALUG KUYEN GENNAIO 1988 TRIPANTU

Giocammo a calcio quasi a mezzogiorno, in questa calorosa estate. Nella nostra weyin ñi ruka dell’anno 88, Pelao, Toto e io eravamo bambini già grandi fabbricanti di palloni di nylon, fatte con lo scarto delle borse di plastica che raccoglievamo. Costruimmo i migliori palloni, che duravano alcune buone partite. I miei fratelli, due anni di meno, dimostravano talento nel campo che stava nello spazio esterno della nostra ruka, quasi nudi e bruciati dal sole, scalzi, però coinvolti al 100% in questa attività. Loro avevano 5 anni e io 7.

Quel giorno il nostro chaw pedalava una bicicletta. Eravamo molto contenti perché erano un paio di settimane che non lo vedevamo. Ci siamo incontrati proprio quando spingevamo le vacche perché potessero bere acqua nel Kurako, ruscello che si trova approssimativamente a un kilometro e mezzo dalla ruka. Tutti i giorni prima di mezzogiorno dovevamo portarle e noi approfittavamo, per farci un tuffo e raccogliere frutti (more, maqui, boldo, ecc…).

Vimmo arrivare chaw Pascual Pichun Paillalao pedalando una bicicletta, una novità in un tempo dove le famiglie del lof vivevano nella massima povertà. A tutto questo, fu la prima volta che vedevo una bicicletta, e devo riconoscere che mai ne ho posseduta una. Il nostro chaw arrivò molto scuro, tutto affannato, con vestiti dell’epoca e un berretto. Sorrise e gli brillò un dente. I miei fratelli, uno era molto grasso e l’altro molto magro, erano molto bruciati, erano scuri e con capelli molto corti ben aggrovigliati. Il sole nel mio territorio “Temulemu” colpisce molto forte in estate.

La metà della mia famiglia tornò in quell’anno nel lof, dopo aver vissuto nel paese di Traiguén, mi chaw e mia ñukePoya, mio fratello maggiore Juan, Pelao e Toto. Noi, la mammina Yoya, la Meche, la Nina e io, vivevamo nel campo, oltre al mio nonno Pichun e la mia zia Ernestina. Questo giorno era felice, tutti insieme in famiglia.

I nostri giorni cominciavano molto presto per aiutare a mungere le vacche, la nostra madre realizzava questa attività, noi controllavamo i vitelli che avevano un sacco sulla bocca che nel pomeriggio precedente gli collocavamo per ottenere molto latte, così questi animali erano ansiosi. Li accarezzavamo e giocavamo con loro.

Dopo: la prima quantità di latte che scendeva dalla mammella, era per noi. Era il massimo. Gli toglievamo i sacchi ai vitelli e, dopo tutto questo lavoro, dovevamo sempre stare attenti agli animali perché non distruggessero recinti e le coltivazioni.

Poco prima di mezzogiorno dovevamo portare le vacche al Kurako, fu lì che incontrammo con il mio chaw. Ci abbracciammo, andammo e tornammo con gli animali…però quello che volevamo era giocare con la bicicletta.

Questao pomeriggio fu diverso. Dopo aver pranzato tutti insieme un brodo di pollo, con sopaipilla di frumento nuovo, dimenticammo tutti i lavori da svolgere. Non raccogliemmo more, né irrigammo l’orto, anche le vacche rimasero alla deriva. Cominciammo a costruire degli archi al lato della ruka per una partita familiare di calcio che durò fino al tramonto. Mi chaw, il mio nonno, i miei fratelli Juan, Pelao, Toto, la Meche, la Nina, la Ernestina, e io. Solo svolsero le loro funzioni le mie due ñuke, sicuramente lamentandosi. In quel pomeriggio a nessuno importava il mondo al di là di quel campo di calcio.

Già di notte nella ruka, i vecchi bevendo mate con pane di farina, la ñuke Poya cucinando cose buone, mio nonno parlando dell’origine della familia Pichun, noi giocando con il fuoco, alcuni già arresi, sdraiati sui sacchi di frumento o a terra al lato di questo kutral (fuoco) che sempre era acceso al centro della ruka.

Il mio chaw fu un operatore di macchinari agricoli insieme a mio zio Hilario, con il quale andava nei Lof nei tempi di raccolta e in inverno, aiutavano nel mingako nella semina di piccoli spazi di terra che c’erano nella comunità. Noi da quel momento apprendemmo questo lavoro al lato dei nostri padri e delle nostre madri.

WALUG KUYEN FEBBRAIO 1994 TRIPANTU

Negli scorsi giorni la mia ñuke era già molto grossa, in procinto di avere un figlio. Con il mio chaw avevano deciso di avere l'ultima figlia: la Nayi.

Tutti i sabati, scendevano al villaggio di Traiguén per vendere le verdure da noi prodotte, al mercato del paese. Lì andavano mapuche e contadini a vendere diversi prodotti agricoli.

Quel fine di settimana, non sarebbe stato lo stesso per via dell'arrivo della pichidomo nella famiglia. Noi, i tre fratelli minori maschi, vendevamo legna al villaggio che raccoglievamo durante tutta la settimana – molto presto la mattina o a notte tarda – prendendola clandestinamente dalla Forestal Mininco.

Quella settimana la mia ñuke Flora, dovette farsi ospedalizzare e noi rimanemmo a cura della mamma Yoya, mentre il mio chaw si occupava del suo ruolo di dirigente comunitario a quei tempi, con riunioni con altri dirigenti del territorio per questioni riguardanti la terra. Tutto questo, nel territorio nagche.

Noi che eravamo già grandi, Toto aveva 11 anni e io 13, aiutavamo l'economia della famiglia vendendo legna con il carretto, per cui dovevamo raccoglierla, caricarla e portarla a Traiguén. Durante la settimana raccoglievamo la legna e tutti i venerdì la caricavamo sul carretto, aggiogavamo la coppia di buoi per incamminarci in una traversata di 8 ore per raggiungere il villaggio. Andavamo sempre tutti e tre insieme.

Quel venerdì, Toto non volle venire. Quindi, solo io e Pelao partimmo all'imbrunire. In tutti i viaggi che abbiamo fatto, Toto era il più dormiglione, Pelao rimaneva sveglio, sempre giocando però con il suo cane “el Yondi”. Io dovevo rimanere in allerta e attento a far si che il viaggio andasse bene, ma questa volta eravamo solo Pelao, il suo cane, io e la coppia di buoi: “l'alberello e la stella ”.

Bisognava assicurarsi un buon viaggio, pertanto, dovevamo caricare bene il carretto, con i legni ben ordinati ognuno ad una certa distanza. Poi dovevamo assicurare il carico con delle corde, usate esclusivamente per questo scopo. Sopra il carico si metteva mezza balla di avena, un sacco con delle coperte e una borsa di pane e farina tostata. Sul fianco del carretto c'era un altra corda di riserva, una bottiglia di olio, per oliare l'asse e le ruote, che a quei tempi erano di gomma, e una bottiglia di acqua per noi.

Pelao quella notte andò a giocare con il suo cane. Cantava e ridevamo, non bisognava dormire fino ad arrivare in una sosta vicino al villaggio, dove avremmo tolto il giogo ai buoi perché potessero mangiare e bere acqua. Non bisognava addormentarsi prima, perché poteva succedere qualche incidente che avremmo potuto rimpiangere. Una volta a Toto scoppiò una ruota e fu molto difficile trovare aiuto, le case stanno molto lontane tra loro su quel cammino. Un'altra volta perdemmo i buoi e fu molto angosciante, anche per il freddo che fa sulle alture di Huiñilwe.

Dovevano essere le sette del mattino quando arrivammo all'entrata di Traiguén. In quel luogo si dirigevano altri carrettieri che provenivano da differenti posti. Arrivavano anche i compratori della legna, perché lì potevano scegliere il carretto migliore. Non capitò mai a noi, così che dovevamo trasportare di porta in porta il nostro prodotto. Per fortuna riuscivamo sempre a venderlo in fretta e quasi sempre i clienti ridevano di noi, ci dicevano “i piccoli boscaioli”, avevamo dei proprietari fedeli. Lo scarico durava circa un'ora, senza pause, con i legni nelle braccia, e sempre si trattava di una camminata dalla strada fino a una legnaia che stava sempre in fondo alla casa.

Quel sabato ci liberammo presto, scaricammo, ci pagarono e poi lasciammo i nostri buoi in un posto per riposare, con foraggio e un po' d'acqua. Incontrammo un parente per strada e ci disse che mia sorella era nata, così partimmo a metà mattina per vederla all'ospedale. Mentre camminavamo vedemmo da lontano che la mia ñuke stava camminando in strada con la neonata tra le braccia. Corremmo ad incontrarla, proprio davanti alla stazione dei treni del villaggio. Eravamo molto felici e aiutammo la nostra ñuke Flora ad arrivare dove tutte le persone della campagna si trovavano sempre: “Donde Ariel”. Alcuni minuti dopo essere arrivati, apparve anche il mio Chaw e Toto, che avevano anche loro saputo della notizia ed erano arrivati con l’autobus che faceva il percorso da Temulemu a Traiguén. Quel giorno tornammo di nuovo in tre sul carretto, per le otto ore di ritorno verso casa che durava il cammino. Quella notte la passammo tutti insieme, intorno a una stufa ricavata da un barile di latta tagliato a metà, guardando come cucinava la mamma Yoya. La nostra famiglia aveva un altro membro, “la Nayi”. Eravamo molto felici. La Meche e la Nina si litigavano la neonata, Toto moriva di gelosia, così se ne andò a dormire tra i sacchi di grano. Juan, molto felice, cercava un nome per la neonata, noi e Pelao eravamo molto stanchi e i vecchi raccontavano l'esperienza di riavere una figlia. Quella notte si passò in famiglia.



WALUG KUYEN FEBBRAIO 1999 TRIPANTU

Con mio fratello Pelao eravamo al nord quell'estate. Andammo insieme ad altri giovani del Lof in cerca di lavoro nella stagione della raccolta della frutta, nelle zone di Rancagua, cosa che la maggior parte dei giovani mapuche facevano per raccogliere i soldi per l'anno scolastico. Andavamo in vacanza a dicembre e tornavamo a metà marzo al collegio, nel paese di Chol Chol. Quell'anno tentammo la fortuna e, con mia fratello Pelao, andammo a lavorare.

Ricordo che dopo aver finito la scuola partecipammo alla riappropriazione territoriale che veniva portata avanti nella nostra zona.

Sarà stato a fine gennaio, o i primi giorni di febbraio, che andammo a cercare lavoro. Al nord viveva una delle mie zie, in un piccolo villaggio chiamato “Rosario, a sud di Rancagua. Passammo lì due settimane, approssimativamente, nella raccolta delle pesche. C'era anche un orto e altri alberi da frutta. Rimanemmo lì, nell'accampamento.

Un pomeriggio, mentre guardavamo le notizie nell'unica televisione dell'accampamento, uscì un'immagine di un enorme scontro tra mapuche e carabinieri. In quel momento, ci rendemmo conto che era il nostro Lof. Vedemmo molte persone ferite, tra loro la machi; ad una certa mostrarono anche una immagine del nostro Chaw ferito gravemente in ospedale, e a nostro fratello Toto con una ferita sull'orecchio. Ci ribollì il sangue e prendemmo la decisione di tornare immediatamente.

All'arrivo a Traiguén, cercammo la nostra famiglia nel villaggio, e vedemmo nostro Chaw uscire dall'ospedale, pieno di bende e una frattura al cranio, per tutti i colpi che aveva preso dagli sbirri. Toto quel giorno ci raccontò tutta la situazione, come se fosse un film. Ci lasciò il piwke arrabbiato, così tornammo a far parte della resistenza.

In quei giorni si realizzò un gran trawun, all’incrocio di Didaico, con l'idea di prendere la decisione migliore tra i lof che stavano lottando, e il mio Chaw tornò a prendere la guida del processo, nonostante le condizioni in cui si trovava. Insieme si decise di andare avanti e si scelse la strategia del controllo territoriale. Bisognava mandare definitivamente via la Forestal Mininco, per cui avevamo bisogno di avere newen per portare avanti il nostro piano.

Si scelse il weichan come unico metodo. La compagnia aveva diverse installazioni nel suo fondo, un forte della polizia, un accampamento, attività forestali, macchinari e un gruppo di paramilitari e di guardie di polizia. Per il giorno scelto dovevamo dare un colpo sicuro, fino a quel momento sarebbe rimasto tutto riservato: il 4 di marzo del 1999 era la data segreta.

La notte prima la passammo con la famiglia, cenammo insieme e ci davamo forza per il giorno successivo. Quasi tutti saremmo partiti al weichan, chiamato dal mio Chaw, rimasero a casa solo la madre Yoya e mia sorella Nayi, che era ancora piccola; tutti gli altri andarono, insieme a molta gente del nostro Lof Temulemu. Partimmo alle quattro del mattino, approssimativamente. Eravamo felici e nervosi, portavamo degli zaini con qualcosa da mangiare, acqua e witruwe (strumento di caccia)

Alcuni minuti prima della nostra partenza, arrivò alla ruka un gruppo di giornalisti, che ci disturbò un po', però non cambiò niente. Non sapemmo mai come fecero ad arrivare o come avessero saputo dell'azione che stava per essere compiuta. Ricordo che il giorno dopo il fatto, scendemmo al villaggio, comprammo i giornali e ci mettemmo a ridere per le cose che scrissero i giornalisti:

“La brutta indigena con pelli di maiale, non si lavò nemmeno i denti per uscire”, disse una giornalista; “Non sono mapuche...c'è un soggetto che chiamano comandante”, scrisse un altro; “Questo giovane è un bravo ragazzo, non penso che sia un mapuche”, veniva commentato. Alla fine, furono numerosi i media che vennero per scrivere un articolo.

Per il giorno prefissato camminammo circa per un'ora, nella notte, e man a mano che avanzavamo si univa gente. Mio Chaw guidava la colonna, noi – molto agitati – volevamo combattere, tenevamo quella rabbia accumulata. Eravamo circa 100 mapuche, tra uomini e donne weichafe.

Quando ormai mancava poco ad arrivare, vedemmo fiamme e fumo che uscivano dal forte di polizia chiamato “El Chorillo”. Con il forte in fiamme circondato, ad ogni lato c'erano mapuche che attaccavano, il nostro marrichiweu si sentiva in ogni angolo, tra spari e grida. Per nostra sorpresa, all'azione si erano uniti 400 mapuche, di tutta la zona nagche e altri territori. Si distrussero completamente le installazioni, l'accampamento e i macchinari forestali, mentre gli sbirri e i gruppi paramilitari scapparono verso le montagne, all'alba la vittoria fu nostra.

Di giorno arrivarono le Forze Speciali, con le quali ci scontrammo durante la giornata. La nostra gente venne repressa duramente, entrarono nel nostro Lof perseguitando ai weichafe, arrestando molte persone, mentre molti altri vennero torturati e minacciati di essere fucilati.

Due giorni dopo tornammo, uno per uno, alla nostra ruka. Da quel giorno, per la nostra famiglia non fu più lo stesso, diventammo nemici dello Stato chileno. Molti passammo per il carcere, altri per la clandestinità. Ma in ogni periodo di calma tornammo a unirci, e il pranzo di domenica continua ad essere sacro per la famiglia Pichun.

WALUG KUYEN MARZO 2013 TRIPANTU

Avevamo quasi finito la trebbiatura e la raccolta di quell'anno, penso che ci rimanesse l'ultima, ed era quella del lupino dolce, avevamo già raccolto il grano e la avena. A quei tempi già si raccoglieva con i macchinari, passammo tutta la stagione estiva a fare quello, perché la macchina era del mio Chaw e mio fratello Pelao la guidava. Pelao ha questa abilità con i macchinari, l'ha imparata dal nostro Chaw.

Noi, i membri del Lof, lavoravamo insieme, per cui, tutti partecipavamo nelle faccende della trebbiatura, che si portavano avanti nella terra controllata nei processi di recupero. Mio fratello Toto era tornato, dopo molti anni da clandestino isolato in Argentina, ricordò che arrivò nel 2010, proprio quando ci fu il terremoto, perché venne arrestato e sentì il movimento tellurico del Mapu rinchiuso dentro il commissariato di Temuco... dopo un paio di mesi venne liberato e tornò al lof. Finalmente tornavamo ad essere tutti in famiglia, che però ormai era molto cresciuta, con molti bambini, i nostri figli.

Mio fratello Pelao era già diventato un adulto, sposato e con figli, e insieme portavamo avanti il processo territoriale, vivendo e facendo una vita mapuche in terra recuperata, in quel momento sotto controllo territoriale.

Uno dei valori di unità come famiglia era stare tutti insieme al pranzo di domenica, nella casa delle anziane. Fu l'ultima domenica che tutti, i sette fratelli, i bambini che saltellavano, il mio Chaw e le mie Epu Ñuke, la passammo tutti insieme. Questa volta fu un ngulam (consiglio) fino a far raffreddare il cibo: la casseruola di pollo di campo, la specialità della Ñuke Flora, con l'amore infinito della Yoya, pranzo sacro della domenica familiare. Avevamo la capacità di ascoltarci, dirci le cose, e anche di non capirci. Mio Chaw quel giorno ci parlò del futuro della famiglia, ci chiese di restare sempre uniti, nel bene e nel male.

Re mapudungun amulei ni gulam.

A quel punto avevamo ormai molti nuovi membri, mio Chaw era sempre orgoglioso di loro e gli chiedeva cue non giocassero così vicino a la ruka, perché per quello avevano lottato tanto e c'era un territorio recuperato: "Avete 2.500 ettari dove giocare!", diceva loro, perché le palle volavano fra le nostre teste.

Il giorno 20 di marzo, quando ancora era molto presto, osservammo frenesia e nervosismo. Vidi arrivare di corsa una sorella per darmi una terribile notizia: ci avvisò che il mio Chaw aveva avuto un'incidente in auto. Presi mio figlio piccolo e la mia vecchia auto per uscire a cercarlo, ma non trovai niente. Mi fermai in una strada vicinale, quando dai due lati arrivarono persone in un pullman, un altro dei miei fratelli ci disse il posto in cui si trovavano e andammo veloci a vedere che cosa fosse successo. Quando arrivari sul posto, molto vicino alla ruka famigliare, il mio Chaw era addormentato nella macchina e la gente stava cercando di svegliarlo, lì fu quando ci rendemmo conto che era in un cattivo stato, immobile. Lo trasferimmo nella macchina di mio fratello che lo portò velocemente al paese di Traiguén, al pronto soccorso dell'ospedale. Quella camionetta era in brutte condizioni, dovetti fare del mio meglio per accenderla e portare le mia due ñuke a constatare lo stato di salute del Chaw.

Fu terribile, ci si spezzò il cuore. Quando arrivammo a Traiguén, la mia ñuke Flora rispose al telefono e gridò con un eco infinito che mi arrivò fino al midollo, e un tremore incontrollabile si impossessò del mio corpo. Mi sforzai per mantenermi lucido, già che ero io a guidare la camionetta, vecchia e sgangherata. Non seppi mai cosa le successe, però quelle fu il viaggio peggiore che abbia mai fatto.

Quando arrivammo all'ospedale tutto il mondo piangeva. Fu un cugino che – piangendo e con molta tristezza – ci confermò il peggio, entrammo correndo in quella sala per chiedere spiegazioni. Il mio Chaw riposava sopra una barella, il medico di turno confermò il decesso e io… piansi come non avevo mai pianto. Ricordai tutti quei momenti vissuti insieme, gli detti un baci e uscii a prendere aria. Volevo stare da solo, lasciare che le mie lacrime si liberassero, che camminassero sopra il mio viso, che un attimo prima era arrogante, però fu impossibile, iniziò ad arrivare tanta gente che mi abbracciava e mi portava newen, arrivarono i media, migliaia di chiamate al telefono, etc., mi facevano ricordare i momenti in cui fummo arrestati per la lotta per la terra, cinque anni di carcere insieme a lui... molti ricordi.

Furono quattro giorni di eluwun, come da usanza mapuche, ancora di più perché era un Lonko. Venivano a dirgli addio da tutti i territori, donne, uomini, bambini, nonne, weichafe, conas, werken, lonko, etc.

Un grande kimche, seppe vivere come un mapuche. Non nego che mi manchi ora che sono stato incarcerato un'altra volta, però la famiglia che ha costruito c'è.

Kume newentual ñi epu ñuke Flora – Marìa Collonao

MALAL RUKA

Inarumen trumu

Tromu zungü

Werken Üñum

Wall Elel


Viene triste e nuvoloso

Porta la parola l'uccello

Un messaggero che il territorio ci mandò

(Parete della sezione comuneros mapuche, carcere di Temuco)

VENERDÌ 12

Mi creda UD, Vostra Signoria.

Mi sento sommamente arrabbiato, con quella giornata traditrice di venerdì 12, che ha vilmente fermato la mia libertà. Metto il coraggio per essere qui e presentarmi davanti a questo tribunale. Giusto oggi saranno 4 mesi da quando sono stato sequestrato illegalmente, nel nome della Sua giustizia. La mia testimonianza è di oggi, 12 di agosto. Loro vogliono zittire la nostra causa che è storica, nobile e giusta. Io, nel nome dell'autorità che rappresento davanti al mio popolo, incaricato inequivocabilmente, dico e dichiaro quanto segue, mettendo a verbale questa brutta relazione con questo venerdì 12 traditore: “Verrà fatta giustizia Mapuche, non ci sarà prudenza che mi fermi, dichiaro l’esilio mese dopo mese. Però in anni, mi lascerò accompagnare per un giorno migliore. Strapperò le pagine del calendario, sulle quali ti trovi, ti caccerò, prenderò fuoco teneramente e me ne andrò sicuramente il libertà. Marichiweu”.

Venerdì 12 di marzo, anno 2002: detenuto per la Legge Incendio Antiterrorista – Governo Ricardo Lagos

Venerdì 12 di aprile, anno 2024: detenuto per delitto di Autore Intellettuale di Sabotaggi – Governo Gabriel Boric.


Trekalenga tripaletuan

Tufachi malaltun ruka chew mulepan

Petu rakiduamleken

Chem pilefel ni azkadiniewtew

Newengñitual inchega

Newenga kizumew new tual


Ora si apriranno le porte

Di questo carcere in cui sono,

Porto nei miei pensieri

Tutti quelli che mi accompagnano.

Sono certamente pronto

affinché possiamo essere liberi e sovrani.






BISOGNA ATTRAVERSARE IL FIUME

“Lamgen, lamgen... volevo raccontarti che l'ho sognato!”

"Lui", un P.P.M. di nome Luan si trova nella prigione politica da molti anni, ma questo inverno sta per cambiare la sua lunga condanna, con alcuni inconvenienti e basta, però questa è un'altra storia.

Ho bisogno di raccontare questa storia d'amore, per l'intensità che ha avuto o, per lo meno, per quello che ho saputo essere stata. Così è la storia del nostro popolo per secoli di lotta, per i quali i giovani Mapuche si sono assunti fermamente molti valorosi “weche” per liberare il nostro popolo: i denominati weichafe, alcuni assassinati, perseguiti nella lotta diretta, e altri prigioniere come questo peñi, Luan.

“Lamgen lamgen... adesso ascoltatemi voglio raccontarmi la mia pewma”, insiste lei.

Lei, una giovane Mapuche di nome “Kizu”, universitaria, con soggiorno in una casa che albergava a giovani Mapuche arrivati in città per studiare, venendo dai Lof o da territori molto impoveriti, e che in un'altra occasione mi raccontò che è di un territorio molto compromesso e colonizzato, un Lof molto addormentato e con molti evangelizzati.

Venne in quella casa per un paio di anni per scolarizzarsi e poter ottenere un titolo professionale, pensando al suo sviluppo personale.

La casa universitaria Mapuche promuove la cultura e aggiorna sul processo politico dei lof o delle comunità.

Kizu inizia a relazionarsi lentamente con i movimenti e le reti di appoggio che sono attive per i P.P.M, per cui iniziò a visitare le carceri nelle quali si trovano molti P.P.M. ed è li che ha conosciuto Luan.

“Lamgen lamgen,... ora dai, raccontami la tua pewma sono qui per ascoltarti, io so interpretare pewma” le dico.

“Ho sognato che liberavo al lamgen Luan in una gabbia, lo facevo diventare un uccellino, un'allodola dal petto rosso. Però una volta liberato dal carcere non potevo aprirgli la gabbia. Mannaggia!”.

-“Vediamo, vediamo lamgen, tu... senti qualcosa per lui?”

-”Siiii, mi piace molto. Non so se tanto, però mi piace. Mmm... quando vado a fargli visita il tempo passa volando, mi viene voglia di abbracciarlo e di non lasciarlo più. Una volta l'ho baciato e credimi è stata la cosa più bella del mondo, il tempo si è cancellato. Mi piace molto, ma non tanto”.

Io, e la mia ironia, dicendo: “Che fortuna hanno quelli che non si sporcano”, come diceva mio nonno. Andai a vedere il peñi per raccontargli, credetti che gli dicevo qualcosa di nuovo, però lui già sapeva... quindi chiesi lo stesso e rispose con gli stessi sentimenti. Niente da fare quindi, e me ne andai a bere mate da solo, meglio così.

-”Lamgen, lamgen voglio che sia il mio werken dell'amore, hahaha. Voglio sapere cosa sente lui per me”.

Questa volta feci finta di non sapere nulla sul tema, tra le risate mi sentì a metà di un ponte sospeso con un vai e vieni senza note musicali. Però in fondo mi incuriosì la storia e le chiesi:

-”Lamgen. A cosa stai pensando?”

Lei mi risponde con una cosa inaspettata per me, in tono deciso: “Voglio attraversare il fiume”.

-”Chanfle”, dico io, senza capire veramente cosa significa questo per lei, ma va bene.

-”Ora lamgen, dobbiamo salutarci. Peukayal, parliamo un altro giorno!”.

Qualche giorno dopo torna alla visita, e mi dice:

-”Lamgen, ho attraversato il fiume. Mi sono azzardata”.

E io le chiedo, “Auu. Cosa è successo?”

Lei mi risponde:

-”Ho attraversato il fiume lamgen, dovevo farlo. Avevo questa necessità. Però è stato solo per sfogarmi e basta, io non mi aspettavo nulla da lui. Penso che ho fatto la cosa giusta ad accompagnarlo tutto il tempo della sua prigionia, gli ho dato il mio affetto totale, è stato tutto bello. Li ho dato molto amore, l’ho preso con tutto il mio piuke. Ora si sono aperte sia le sbarre che la gabbia, lui può volare liberamente per tutta la Wallmapu e riempire di luce la mia oscurità”.

IL NARKI: “GATTO NELLA CUCINA”

La notte prima di iniziare questo scritto, un gatto entrò nella cucina della sezione dei comuneros mapuche, dove eravamo prigionieri in alcuni Mapuche per la lotta del nostro popolo, per la maggior parte militanti del CAM.

Kiñe peñi camche, grida: “Un gatto s'è mangiato il cibo! Maledetto gatto, ora ti massacro”.

Quelle furono le parole sentite in modo violento da parte di altri P.P.M, le quali ebbero risposta immediata:

“No pu peñi, gli animali non si maltrattano, devi prima capire le ragioni”,

Allora si crea una discussione accaldata riguardo a questo. Io intanto, ascolto con attenzione e inizio a sviluppare la mia opinione personale, senza far altro che lasciare che i due peñi scarichino i loro argomenti, ascolto entrambi mettendomi nei panni di ciascuno, lasciando che si sentano nella discussione accaldata le basi familiari e del Lof dal quale provengono. Conosco entrambi e mi rendo conto della differenza che c'è, che anche esiste in fondo alla mia persona.

Kiñe peñi. Da quando conosco la lotta, è stato militante. È un vecchio militante della nostra causa, è un Mapuche che ha sofferto molto, viene da un Lof vicino a la warria di Temuco, conosce molto bene le necessità del nostro popolo da quando lo conosco, ho molto rispetto e affetto nei suoi confronti.

Epu peñi. Ha alcuni anni di militanza nell'organizzazione, l'ho conosciuto nei trawunes, siamo diventati amici per la somiglianza della nostra personalità e la simpatia che ho per questo tipo di persone. Lui vive in Willimapu ed è già un weichafe riconosciuto. È stato per molti anni warriache, nato e cresciuto in quel mondo, quelle sono le sue origini e negli ultimi anni si è unito totalmente alla nostra causa.

Continuo ad ascoltare questa discussione che ha la capacità di riportarmi alla mia reñma (famiglia), le mie due ñuke e la mia esistenza nella terra.

Mi rendo conto che vengo da dei decenni passati dove esisteva il rispetto e l'amore per gli animali sotto una norma e dei ruoli che dovevano essere rispettati. Della mia infanzia mi ricordo che nella mia ruka c'erano molti animali: cani, gatti, uccelli, maiali, mucche etc., tutti con un luogo e un territorio ben definito, dove dovevano abitare e che funzione aveva ogni specie per mantenere l'equilibrio naturale.

Il gatto/ñarki: il suo compito era mantenere l'area intorno alla ruka pulita e libera da roditori e altre specie estranee e pericolose che minacciavano la buona vita della famiglia, prendendosi così cura che non ci fossero malattie, sia del corpo che spirituali. I roditori quando arrivano nelle case portano malattie e sfortuna, e se succede ciò significa che il gatto non sta svolgendo bene il suo lavoro, per questo molte volte venivano puniti e lasciati in balia della natura.

Torno all'attualità di questa discussione e della vita Mapuche in generale.

La nostra famiglia ha adottato alcuni animali come animali da compagnia e credo che qui c'è un grande problema che è il riflesso della transizione alla vita moderna, “una espressione dell'assimilazione culturale” che sta influenzando la nostra famiglia. Quello che racconto fa parte della vita nel lof, non so quello che succede nella città dal momento che vorrebbe dire giudicare una vita non Mapuche, ricordiamo che nella società Mapuche non esistono le città, di fatto sono state bruciate dai nostri antenati.

Torno a ricordarmi delle mie due ñuke, che sono poli opposti riguardo questo tema. Una rispetta e ama gli animali, però non come animali da compagnia, e l'altra è rigida nel mantenere i ruoli di ciascun animale.

Non dovrebbero esistere due livelli per loro, come sfortunatamente esistono attualmente: di prima e seconda categoria, “gli animali domestici e quelli di basso rango”.

Rifletto anche su questo: un animale domestico ci da la possibilità di allontanarci e separarci dal mondo sociale, avere questi tipi di animali ci permette di stare soli e sole perché non è più necessaria la compagnia di un altro umano perché l'animale umanizzato rimpiazza quel vuoto, per molte persone non è più necessario avere una compagna/o, una compagnia, figli e nemmeno amici. Quindi, rende molto più difficile organizzarsi e lottare. La vita è idealizzata con un solo animale umanizzato e un cellulare con Internet, così il sistema ci mantiene felici.

Finalmente torno al modulo del carcere e alla discussione.

Per quanto riguarda la mia opinione, siamo dei prigionieri politici Mapuche (P.P.M.), veniamo da un popolo che è in lotta per la ricostruzione e la liberazione del Wallmapu. Questi conflitti domestici li abbiamo a causa della prigionia, però se ci mettiamo a pensare, attraversano i muri perché sono anche conflitti presenti fuori. Tutti stiamo costantemente nel mezzo di pensieri riguardo al “cosa è tipico di essere mapuche” e, alla fine, prevale il kume mogen tra di noi.

Bei mutenta pian.

Nel mio girovagare per il territorio ricordo anche di essermi imbattuto in situazioni che, come per la storia del narki, mi fanno riflettere riguardo ad azioni un po' contraddittorie, che dicono di essere per il bene dell'umanità ma che sono abbastanza discutibili.

Una volta ebbi occasione di visitare una comunità mapuche, estremamente culturale e spirituale. Facendo llellipun al menoko, il quale con il passare degli anni aveva ridotto il suo flusso di acqua, e dava l'impressione che durante la cerimonia la colpa per la mancanza d'acqua veniva data ai ngen o newen. Però se guardavamo più in là, le piantagioni di pini e eucalipti arrivavano a 20 metri dalle ruke di chi abitava lì.

In un'altra occasione nella città della “presa bene”, come l'ho chiamata io, lanciai della spazzatura nel falò di una comunità di ecologisti. Le occhiate dopo questa azione, che per noi è normale, mi fecero sentire criticato. Loro si erano sentiti colpiti da un pezzo di plastica, mentre a 10 chilometri dalle loro case c'erano le fabbriche di distruzione dell'umanità, le industrie, raffinerie di petrolio, etc., installate nelle così dette “zone di sacrificio”.

Una cosa buffa che mi successe fu nel nord della Wallmapu, nel territorio Aymara. Stavo parlando con una ñaña del profondo rispetto che c'è per gli animali nel mio Lof, in particolar modo per le mucche, che sono libere, mia madre le ama come la sua vita, ognuna di loro ha un nome e si prende molto cura di loro, ci svegliamo e andiamo a dormire con loro. Lei allora mi disse: “Io vorrei essere una mucca del tuo Lof, per essere veramente libera e amata”.

Io continuai dicendo che l'unico requisito era partorire ogni anno.

Allora lei, senza pensare, rispose: “Aaaah, allora non voglio”.

WEICHAFE ANCHUMALLE

Arrivammo di notte in quel territorio, in un Lof che porta avanti un processo di controllo territoriale. É la “zona lafkenche”, una terra bellissima, piena di vita, con molti alberi nativi, animali, coltivazioni di cereali, c'è perfino una laguna lì. Quel giorno il Lof preparava un trawun-trafkin, un'azione che fa parte della linea politica dell'organizzazione per rinforzare il processo di riappropriazione territoriale.

Dopo aver realizzato la principale cerimonia nel nostro feyentun come Mapuche, il gellipun, si procede ordinatamente alle attività ed era il turno del palitukar (giocare con le palline). Fu in quel momento quando vidi per la prima volta al peñi Anchimallen, attirò la mia attenzione la sua destrezza e la sua abilità nel gioco delle palline. Si distaccava nel gioco un po' di più rispetto a tutti gli altri giocatori. Due anni più tardi, mentre ero detenuto e incarcerato nel modulo dei membri della comunità a Temuco, ci incontrammo di nuovo. Ora entrambi prigionieri, lui fu chi mi ospitò nel suo carro (come si dice qui), condividemmo il “sotto-spazio” dello spazio.

La personalità di Anchumallen è qualcosa di diverso dai giovani comuni, la sua relazione con i lawenes fa si che sia connesso più profondamente di noi con la spiritualità. É una persona che parla del progetto per il suo mapu in una stretta relazione con la vita che h avuto e pensa come un vero Mapuche, “quando sarò libero”. Mi dice questo in ogni conversazione che abbiamo, si relaziona molto con i pewma (sogni), mi ha raccontato che sogna molto, a volte si riesce a interpretare, altre volte è più difficile.

I pewma per il Mapuche sono un annuncio anticipato delle cose che succederanno. Sono in stretta relazione con la spiritualità, molte volte ci avvisano.







MARI MARI INCHE ANCHUMALLEN PIÑEN MALALTULEEN TEMUCO MEW

Essendo già le 9 del mattino decido di scrivere i pewma che ho avuto. Attenzione, io mi considero una persona Peumatufe, o qualcosa del genere come lo chiamerebbero i kuifikeche. Io penso che siano persone con kimun e conoscenza, con un dono.

I nostri antenati realizzavano cerimonie a Ngeche per farsi inviare i pewma e così sapere quello che sarebbe successo.

Io posso solo dire di essere un peñi Mapuche e che vivo in comunità. So quello che vuol dire vivere dalla campagna, parlare la nostra lingua, vivere in armonia con la natura, essere parte di lei e continuo a cercare il kimun rakidwam che mi hanno tolto da quando sono nato, la mia lingua, le mie tradizioni e tutto quello che significa essere Mapuche. Quello che non mi hanno tolto e non mi toglieranno mai, è vivere nella campagna, la mia infanzia e gioventù.

Ho saputo godere del giocare nel giardino che tenevano per me i miei nonni. Questo fu il miglior regalo che ho avuto da loro, aver avuto la possibilità di vivere nel campo.

Storia come quella del Trayen

Mia nonna raccontava che quel Trayen aveva molto newen, ed era protetto da un Ngen, un gallo castigliano molto grande. Anche in inverno si sentiva un kultun quando smetteva di piovere. Ci insegnò anche a rispettare i luoghi, dicendoci che non potevamo visitarli in certi orari.

Mio nonno anche ci raccontò che in quel luogo c'è un newen delle machi, che anticamente una bambina trovò una pietra preziosa e divenne machi.

Racconta che quando morì quella machi ci furono piogge torrentizie con fulmini e tuoni.

Ora voglio raccontare alcuni pewma che ho sognato qui in carcere.

Pewma 01-08-24

Ero nella ruka dove sono cresciuto con i miei nonni, da lontano vedo tre peñi del Lof, nella terra di mio nonno, che stavano scavando un solco come per fare un recinto.

Gli parlai ad alta voce e chiesi che cosa stessero facendo. Mi guardarono e mi risposero che dovevo stare tranquillo, che non succedeva niente.

-Avvicinati, vieni, beviamoci una birra- mi dissero, ne avevano tante, e allora uno di loro mi disse: Com‛era la birra che ti sei bevuto?

Non risposi niente, ma lo guardai intensamente. Ci sedemmo proprio lì e in quell'istante vedemmo scendere una fila di camionette che andavano in direzione di un vicino chiamato Gürü. Allora mi disse di salire su una di quelle camionette per andare a un trawun dell'organizzazione. Salimmo su per una grande montagna che sta vicina alla casa di mia nonna, nel mio sogno pensai che non saremmo riusciti a salire, ma ci riuscimmo. Arrivammo nel punto più alto, si vedevano tutti i posti, in lontananza, si vedevano anche del fumo e alcune kuni (locande).

Si sentiva che andavamo a un grande trawun della organizzazione Coordinadora Arauco Malleco.

Arrivammo nel posto, salutai i peñi e i lamgen, alcuni erano conoscenti ed erano molto felici. In quel momento vidi che venivano lanciate bombe fumogene verso di noi, mi spaventai un po' e dissi tra me: “Ora, prepariamoci a combattere”. Erano gli sbirri che venivano a reprimerci, insieme ai militari, man a mano aumentavano le bombe e si sentiva l'odore dei lacrimogeni dove eravamo.

C'era molta gente, anziani, bambini, donne e i peñi, tutti iniziarono a correre ad ogni parte, allora gridai loro: “Tranquilli, dobbiamo lottare, dobbiamo resistere”. Era tutto pieno di fumo.

“Bisogna proteggere i bambini e gli anziani” gridavamo, mentre sopra di noi volava un elicottero lanciando lacrimogeni.

“Bisogna lottare con newen” gridai.

Mi svegliai con il cuore impazzito e i battiti difficili da calmare.

La tua coscienza è così secca

Come la terra che circonda

La base del tronco di un pino

Essendo carente di ogni tipo dei suoi nutrienti

Le mancanza di umanità

Di coscienza e di rispetto al tuo peñi

Ti fa diventare in un winka in più

Anchumallen

PICHUNHUAIA PIUMA DI ANATRA

Mi trovo con il werken per entrare all’interno della sezione dei comuneros nel carcere di Temuco. Quella volta, lui, insieme al suo Lonko, chiedevano l’ingresso alla sezione. Mi raccontarono che in un’altra occasione si verificò la stessa situazione, perché la gente della sezione rifiutò l’ingresso per il fatto che discuteva la causa per il quale furono condannati.

Prima che io fui detenuto, osservai questo processo per mezzo dei mezzi di comunicazione ufficiali-alternativi, a dire il vero, senza dargli molto importanza, però devo riconoscere che mi attrasse l’attenzione per il grande appoggio che ottennero. Qui mi commentano che il sostegno proviene dalla gente del loro territorio, comunità nelle quali loro dicono che lavorano.

Oggi pomeriggio fu permesso l’ingresso alla sezione con un buon nütram concordato, e alcuni compromessi per la convivenza. Il giorno seguente, invitai a bere un mate al suo Lonko per conoscerlo. Qualche giorno più tardi, realizzai alcuni laboratori di dungu Mapuche che era principalmente diretto ai weichafe della CAM e ai membri della sezione comuneros. Fu qui che arrivò a partecipare e parlammo abbondantemente. Gli chiesi del suo cognome, lui mi dice: Pichunhuala (Pichun-Pluma/Huala-Pato). “Siamo parenti” gli dico, “Io sono solo piuma, si, piuma trasversale, questo sono io”, gli riferisco. Siamo in confidenza.

La relazione umana continuò, e facendo un’analisi del movimento Mapuche arrivammo ad avere la stessa visione, concordammo la stessa linea e il progetto politico del popolo.

Il werken è del territorio wenteche tra la Karra Lautaro- Curacautín.

In questi vasti territori dice di avere una grande quantità di processi di riappropriazione territoriale, principalmente il latifondo installato nella zona.

Lentamente costruimmo una fiducia reciproca al caldo del buon mate, insieme ad altri prigionieri politici mapuche, passando lunghi momenti nutramkando e alternando momenti scherzosi con altri di conversazione seria. Le riflessioni vertevano su vari aspetti: come possiamo migliorare la mobilitazione e il movimento per liberare il nostro popolo, con quali elementi contiamo (feyentun/kume rakiduam) per ricostruire con valori del nostro kuificheyem, anche riguardo a come relazionarsi con altri popoli.

Nel nostro nütram più serio, il peñi pianifica il controllo e la tutela della natura, riferisce che dovremmo controllare i parchi naturali e le sorgenti d’acqua in Wallmapu, anche per il fatto che nota che nel futuro ci sarà il grande problema dell’acqua.

In una occasione, bevendo mate con i Lonkos, mentre loro consigliavano e parlavano della perdita dei nostri valori, soprattutto di come la parola Mapuche si è persa, non si rispetta, di come il nostro giovane sono totalmente occidentalizzati e colonizzati, e fu in quel momento nel quale il werken interruppe la serietà, con uno scherzo che mi fa ridere ancora adesso: ”la pazienza dell’asino”. L’asino è un animale stereotipato come un essere con un basso livello intellettivo, ma per la prima volta divenne intelligente.

Alla fine, l’amicizia con il werken si creò qui in prigione, nell’inverno del 2024. Rimaniamo d’accordo nel camminare nel progetto di liberazione Mapuche.

MACHI MARGARITA

Fu in questi tempi, negli anni ‛90, io ancora quindicenne conobbi la lamgen Margarita, una giovane donna che si stava formando per diventare machi con l’anziana machi del mio Lof Temulemu, la machi Maria Ancamilla,. La machi Ancamilla partecipava attivamente nelle riappropriazioni territoriali delle terre nel territorio in questi anni, che le comportò un brutale colpo durante uno sgombero di un terreno di un’azienda forestale nella zona, concluso con molteplici fratture e un ricovero in ospedale.

In quegli anni si manteneva una lotta per la riappropriazione territoriale in vari terreni, in generale terreni di imprese forestali, che confinavano con i Lof che, nella maggior parte, erano richiesti per mezzo di un permesso regolare che consegnava lo Stato.

Il terreno Santa Rosa di Colpi-Chorrillo, occupato dalla Forestale Mininco con una quantità enorme di ettari (2500), era richiesto dalle comunità Temulemu, Didaico e Pantano, sotto il lavoro di “controllo territoriale”, in una unità inedita per quei tempi post dittatura di Pinochet. Lottammo per recuperare la nostra terra, che fu finalmente la miccia che accese il fuoco che divampò per tutto il territorio Nagche.

Attualmente esistono grandi quantità di terreni sotto il “controllo territoriale”, processo che realizzano i Lof che si assumano dall’inizio il lavoro dell’autonomia Rivoluzionaria, nel quale ogni processo ha distinte realtà, però si lavora seguendo questa linea politica, per tornare a fornirle vita Mapuche alla Mapu, rispettando il itrofilmogen, con un lavoro produttivo proprio del nostro mogen e di ricostruzione dell’identità Mapuche.

Il guillatun è fondamentale per avanzare in questa lotta, la quale si deve realizzare all’interno del terreno in riappropriazione, dove tornano le autorità tradizionali, i Lonko, Machi, Werken, Kimche e Guillatufe, tutti elementi importanti per poterci guidare nella lotta in una forma buona e sicura; la Machi, attraverso dei Pu Lonko ci darà il cammino che bisogna percorrere in questo weichan, perché i Weichafe lottino per il cammino corretto e perché possano difendere il nostro popolo.

La machi Margarita mi ha visitato in carcere, non solo ora, ma anche in distinti momenti nel quale lo Stato mi ha detenuto, ricordo gli anni 2202-2008. Ora, nell’anno 2024, mi ha sostenuto, e per me è stata un pilastro importante.

Mi è venuto a dare il newen necessario per continuare ad avanzare, mi ha richiesto che mi mantenga sempre irremovibile, ogni volta che mi visita mi da gularn kure gulam sulla mia personalità, mi aiuta a riosservarmi. Lei è una machi con un buon piwke.

L’ultima volta che mi ha visitato fu questo inverno (puken), per la celebrazione del wetripantu che realizzammo qui, nella carcere di Temuco, ansieme a P.P.M del Wallmapu, e mi commentò che è necessario mantenere la lotta contro le forestali che tanto danno hanno provocato alla Mapu. Già non c’è acqua, lawen, i mawidantu stanno lentamente sparendo per l’invasione del settore forestale:

“Già non so come vivremo nel futuro”, diceva molto preoccupata, mentre bevevamo il mate. In tanto io, molto felice di stare con le qui, anche se era per poco tempo.

Felice di questa visita illustre del nostro popolo in lotta.

Marichiwew.







DETTI e PENIERI NELLA SEZIONE COMUNEROS

SOLO CON NEWEN


Solo nell’oppressione

Nella quale ci tiene il winka

Allora, è possibile liberarci

Nell’amore che che ci proibiscono”


MATETUN


Nell’azione del mate

E‛ politicamente corretto

Per l’unità del nostro

Popolo wallmapu libre”.


RAKIDUAM DI UN P.P.M.


Il maiale mai torna

A mangiare nella stessa situazione”

Questo è relativamente certo, peñi.

Però ci sono cose che il maiale

Non smette di fare, e questo è mangiare,

Se gli danno da mangiare

Questa è la coscienza del maiale

Il maiale, che sa delle stelle, se mai ha guardato il cielo!

Muna kumey ilo sanwe tufachi Wetripantu fantenmew mulein.


“Cerchiamo l’unità come popolo per

Seguire lottando come un solo popolo”

(detto di un Lonko)

  1. Il rituale più importanti di un P.P.M. sono le visite

  2. Perché inserisce il tuo nome se poi non viene a visitare?

  3. Il mate nel carcere misura la considerazione e l’amicizia.

  4. Ci sono molti segreti per un P.P.M., la visita a “venusterio”, per esempio, è un segreto a voci.

  5. Abbiamo distinte forme per affrontare il tempo che si trascorre in galera, alcuni lo fanno cucinando.

  6. Il migliore scherzo fino ad oggi: ”pazienza di un asino” espresso da un werken.

  7. Il Gellipun nel carcere è difficile (accordo dei P.P.M. di distinti territori).

  8. Sciopero della fame è l’ultima risorsa.

10+10 TAMI DEYA

Sorella è che non siete voi

Se no altro che la sua bellezza

Senza nessun avviso

Irruppe violentemente

Nella fredda sala delle visite

Rimanendo ipnotizzato

Lasciandomi con un grande desiderio

Liberatore


La Lamgen sola.

E‛ questa lotta

Gli dico che è bella, si arrabbia,

Gli dico la verità, si arrabbia,

Io confuso in maniera ridicola

Me ne vado lentamente

Ñochi ñochiletulen amutuan Pewkayal.


Pensieri tristi e nagati di unP.P.M:

Che sua sorella si innamorò

Di un katripa

Non potrà negoziare con il suo wenuy.


E…lei mi dice:

“Io non sposo con un Mapuche senza terra”

Io rispondo con tenera maliziosità

Ho più di 1.000 ettari in controllo territoriale

Nel cuore del territorio nagche

Confina con il fiume Colpi a Didaico

A nord solo mi frena il nemico

Per il waiwenmew c’è il mio cuore.


Poyen, non abbia paura

Ho di tutto per te

Ti porterò al mio lof

Quando uscirò da qui

Una ruka grande fatta con il sudore

Gli animali per il sostentamento

Un terreno da coltivare per la nostra vita

E il nostro amore sfrenato

La laguna guardandoci


Che bella su deya, peñi

Bella, yemay

Potremmo fare un commercio

Ya pu un buon accordo

10 kawellu kumeafui 10 kuyin waka ka bei Aa…io dicevo

Anche a me mi piace

Sua deya may

E‛ meglio che facciamo

Trafkintu capello a capello

Questa storia terminò con un rovescio inaspettato


Non ho paura della morte né del carcere

Nemmeno dei witranalwe e dei wekufu

Solo temo il suo chaw ka ñuke

Quando alla fine ti porto al mio lof


Questo chaway si vede bello.

In su pilun lamgen,

Io credo che si va a vedere ancora più bella

Quando la porto al mio ngillantun

Ka antuga piukeneafen pilefun

Bei mew puliwen guillatulen.


Ieri sera pewman con lei.

Cantammo una canzone

Per l’unità del nostro popolo

Svegliai con dei colpi alle sbarre


Io come werken

Dovrei tenere due kurre

Gli commentai alla machi

Del mio territorio

Però la mia unica kurre non mi appoggia

Mi riempi di baci

E credetemi che le idee passano


LE MIE MANI DI WERKEN (Canzone)

Sparatemi pure

Che sia al cuore

Io sono solo un werken

C’è tutta la mia gente


Io voglio stare insieme a te

Mi tengono legato

Dentro di me porto il mio pulli ferito

Newentulen fachantu

Tranquilla amore mio

Qui ci sono le mie mani

Diventeremo liberi

è per questo che lottiamo.


“Non avrei mai pensato che quest’inverno

sarebbe stato il più freddo che abbia mai visto passare…

ecco sono qui….”


Ruf zuamlekelafun wutrelefelga

Tufachi puken, bey tra wutrelefun

Buaw mulen


RAKIDUAM

HUINCA-WINKA

We: en Mapudungun si riferisce allo spazio nuovo oppure in qualche luogo

Inka: Un impero che si trova a pikunmapu (a nord)

Territorio del supremo male (wekufu)

A nord di Wallmapu

Ricapitolando:

Huinca – Winka: Significa un nuovo Inka

Nuovi invasori

Nuovi saccheggiatori

Nuovi colonizzatori

Nuovi colonizzatori

Winka Trewa

Winka Asesinos

come dice il mio Ñuke:

“Winka andatevene a…”

NI WENUY

Nieimi ñarki agé

Tregül Namun

Weluduam ge

Nieimi kume piwke


Inche tami weni

Rupali ta fentren

Chaltumay piayu

Witran akumi tatey


Avevo un viso da gatto

zampe dell’uccello

Occhi e sguardi che penetrano

però con un gran cuore.


Sono il tuo amico folle

di tanto tempo

Grazie, grazie infinite

Qui si trova ancora.


Conobbi un lonko pirulonko

che giocava a calcio e gli piacevano molto

le feste e le cose occidentali

Era molto abile in organizzare eventi e feste

Riguardo alla questione del nostro popolo

Mapuche la sua gente non lo sosteneva

Un giorno questo lonko pirulonko

si ammalò gravemente.

PER UN WEICHAFE

Camminavo per la mia terra

Una pallottola mi colpì una gamba

Mi presero mi portarono via

Senza pietà mi torturarono

Sono weichafe sono in lotta

Procedo senza paura combattendo

Porto il fuoco nelle mie mani

E questo cumulo di rabbia


…Perché mi accusano di aver sparato

Arrivarono sparando

Io risposi

Porto il mio tralka e il mio newen

Guerra ai forestali

Wewain


Nel carcere di Temuco

La condanna la sto scontando

Sono weichafe non lo nego

Militante del mio popolo

Siamo un popolo sotto occupazione

Siamo in lotta per la liberazione

Il sangue sparso

Los ngen mapu ci accompagnano


AYEKAN NUTRAM

Melfu kegun

Feipi ta kiñe kona malaltulelu

Tufachi malaltun ruka temuco new

“Muna kupa ilefun tami witra

Melfu …j aja ja fotri


Kiñe weni cherrufe pigelu

Feipi, kiñe antu eya kuifi peno

Pichiwentrugenga pefin ni weku

Domingo pigelu kiñe malen ta

Inaleufumew, kimlam chenga

Petu zewmaleiwunga welu alkutún

“tukuge chaw tukuge domingo”

Fey mi malle feipi

“Uchaf koni ns ama”

Ja ja ja fotri


Konichi konlaychi, petu Ülkatuy

Ni zeya meche

Tekuychi tukulay chi, fey ni futá.

Lef tukuy weza alwe.

Ja ja ja fotri


Kiñe chaliwunmew nieigun

Epu peñi faw malaltulelu

-Mari Mari peñi

Chumleimi am fachantu

“Mutren kelen muten peñi”

Torro kichilen

Ja j aja fotri


Epu domo nagche

-Mari Mari ñañay

-Mari Mari ñañay

Petu bebidatuimi anay

-May ñañay

Bebidatuleayaimi ñañay

Domo tintuputukey,

Beimew witrakey ta ku…

Ja j aja fotri


-Muli ka kurretuwe ruka

Kume kurretual fentrepu

Feipi ñi kuye mamita

Ñamkulei wedaima

Niegun kiñe nutram

Epu tra che, bei kiñe beipi

“muleita kalfu pastilla”

MAPUCHE IDEALE SOGGETTIVO

Rifletto politicamente

Le parole muoiono nel tempo

Non sono quelle che rinunciano e si ascoltano

In verità mi incomoda

Tante comunicazioni disparate

Io sono un Mapuche duro

Amante della libertà

Mi costa ascoltarti

Questo romanticismo ideale

Questo folclorismo di carta

Autocolonizzazione nazionale

Questo stoicismo ancestrale

Grande weichafe virtuale

Sogna con il lonko e la machi

“Non giocare con il nostro feyentun”



UN DOSSIER SEGRETO

Erano quasi le 10 a.m del giorno 30 di settembre, quando si connettano al computer… all’interno del carcere di Temuco, per dare inizio alla mia udienza “di garanzia”, nella quale viene richiesto il trasferimento dal carcere di Temuco a quella di Traiguén, il quale si concretizzò alle 15.30.

Il viaggio fu sotto uno stretto controllo con estreme misure di sicurezza, però nulla di nuovo. Da Temuco a Traiguén ci si impiega poco più di un’ora. All’arrivo nel carcere di Traiguén, mi fecero entrate e aspettai 40 minuti in un corridoio, nel quale ricevetti saluti cordiali dalla polizia penitenziaria conosciuti e alcuni carcerati.

Fino a quel momento tutto era tranquillo.

Improvvisamente fui portato all’ufficio statistiche da funzionari che conoscevo e con mi trattarono con rispetto, fino al momento in cui arrivò il sostituto del direttore del carcere, di nome Juan Muñoz. Fu per me un momento incomodo, a differenza di altre circostanze, lui entrò in maniera minacciosa, facendomi ricordare chi siamo: lui un poliziotto e io un prigioniero. Commentò che aveva informazioni riguardo al fatto che io ero in quel luogo con altri obiettivi, che mi illustrò. Però fu il tribunale che autorizzò il trasferimento e nella decisione si diceva, secondo lui, che io dovevo sottostare al regime del suo carcere. Testualmente mi disse: ”Non accetterò che lei venga a rivoluzionare la gente, se è così, ti rispediremo a Temuco”.

Io solo risposi che questo mio trasferimento a Traiguén era per un ordine del tribunale. Dopo aver ascoltato tutto questo, fui fatto entrate nella cella come qualsiasi criminale, sotto la direzione, ora, di questo signore.

Devo dire che tutto il resto del personale della Gendarmeria del Cile fu rispettoso, e incluso furono incomodi davanti agli atteggiamenti del loro superiore.

Quando arrivai tra i prigionieri, fui ricevuto con tutti i protocolli dei prigionieri: mi sistemarono in un posto tranquillo, con ragazzi che arrivavano da differenti luoghi, alcuni da molto lontano (Viña del mar, Santiago, Valdivia, Ercilla, Lautaro, etc…) ognuno con le sue storie e gesta di coraggio, di tristezza, però tutte molto lontane ad essere corrette.

Mercoledì 2 di ottobre passò il giorno con normalità, o questo credevo fino a quel momento, perché senza nessun motivo fummo rinchiusi nella cella 2 ore, dalle 12 alle 14, senza nessuna motivazione. I ragazzi nel frattempo mi commentavano che questi giorni si era alterata la normalità, la routine, e credevano perché io stavo arrivando. Mi dissero che lunedì si presentarono poliziotti con il casco e i giubbotti di sicurezza, e che i loro familiari gli raccontarono che attorno alla prigione cerano le “Forze Speciali”, con i mezzi blindati.

In tanto, io ricevetti la visita dei miei familiari, e all’entrata cominciarono arrivare amici e a chiedere per me e a lasciarmi i pacchi.

Mentre prendevamo un mate e parlavamo della vita di galera con i ragazzi, per le 19 si ascoltò un forte rumore, vedemmo tra i carcerieri, e dietro di loro, gli “Agenti di Nero”. Mi nominarono e mi portarono senza dire nulla nell’infermeria della prigione. Arrivato li l’infermiera era molto nervosa, e quasi non disse nessuna parola.

Io chiesi che cosa stava succedendo e lei mi rispose che non era autorizzata a fornire informazioni, e che dovevo rivolgermi al poliziotto presente. In questo momento, con mia sorpresa, era lo stesso Juan Muñoz, come sostituto, con la differenza che ora lui non capiva nulla e, ugualmente all’infermiera, gli proibirono di condividermi informazioni.

Tutto era molto ermetico. In maniera più energica chiesi se mi stavano trasferendo, e il poliziotto mi rispose di si, e che c’era un ordine di trasferimento, ma che non sapeva nulla di più. Io iniziai a protestare. Uscendo dall’infermeria fui circondato immediatamente dagli “Agenti di Nero”. Mi ammanettarono e mi ordinarono di camminare, solo commentarono che c’era un ordine di trasferimento, nulla di più.

Fu così che tornai nella carcere di Temuco. Quando scesi dall’auto mi accorsi di questo e, inoltre, entrai in una cella di punizione, fino alle 10 del mattino del giorno successivo. Dicono che c’era un dossier segreto della Gendarmeria, consegnato dagli apparati investigativi del Cile e autorizzato dal Ministero degli Interni, attraverso il Monsalve, che fino a quel momento era il sottosegretario degli Interni.

12 DI OTTOBRE

Marri marri kom pu che, kom pu filpule mew mulelu, pu lonko pu lawengelu, puke wechekeche domo ka wentru kom puke lob nuwentulelu kiñe tra chaliwunmeu amulean tani rakiduam.

Ci troviamo in un nuovo 12 de ottobre, ancora una volta, un altro anno ancora, e tornano a svegliarsi profondi sentimenti anticoloniali di milioni di uomini e donne del continente Abya Yala, principalmente dal nostro popolo indigeno, che si trova nella massima oppressione e dominazione da parte degli stati coloniali.

Il nostro Wallmapu, che si trova alla fine di questo continente, sotto occupazione dello Stato cileno e argentino, ha mille di anni di resistenza e centinaia di anni di lotta contro gli invasori, prima con l’impero Inca, successivamente con l’impero spagnolo, tutti conflitti di carattere militare che furono risolti con resistenza e grandi accordi da parte del nostro popolo.

Con kimun, i nostri futakecheyem furono in grado di risolvere i conflitti con grande saggezza e, in molti casi con la perdita di molto sangue, e di mantenere il nostro territorio libero, con i valori più importanti del mapuche: il valore alla vita e alla nostra libertà.

E‛ così che storicamente il nostro popolo ha tenuto la capacità di confrontarsi in situazioni e tempi distinti, arrivare ad accordi con il nemico e in questa maniera si accordarono limiti e frontiere, con gli incas e gli spagnoli, tra gli altri accordi diplomatici. Come non ricordare la trentina di accordi che stipularono nel passato? Ci sono accordi che hanno un riconoscimento internazionale.

Oggi mi chiedo, come si sorveglia una frontiera? Vale la pena, è necessario, ed importante pensarci.

Noi, i mapuche, rispondiamo sempre con accordi di rispetto, negoziazioni, e tutto con la parola. Loro attraversarono la frontiera della pace e il rispetto, il limite lo attraversarono i cileni e gli argentini negli anni 1860, 1870 e 1880, con l’occupazione del nostro territorio per mezzo delle armi, in un gigantesco genocidio.

Allora, mi torno a chiedere se dobbiamo, come Mapuche, parlare di occupazione o di colonizzazione? Le differenze potrebbero essere molto chiare, se pensiamo che la colonizzazione fa riferimento a un processo chiuso, a un momento storico, e se l’occupazione la vediamo come qualcosa di transitorio.

La colonizzazione arriva fino al fiume Biobio, però l’occupazione militare che cominciò 150 anni fa produsse al nostro popolo tanta sofferenza per la devastazione culturale e naturale.

Si racconta la storia dal punto di vista della colonizzazione, che Abya Yala praticamente fu scoperta, e che quelli che vivevano qui non ottennero a tenere la qualità di essere umani. Un esempio di loro è la storia che loro raccontano, che il primo uomo che vide due mari nello stesso momento, Pacifico e Atlantico, fu Vasco Núñez, e lo ha fatto “da una collina di Panama”. Con una certa ironia mi chiedo: i nostri antenati erano cechi? Bene questa è la sua politica, facendoci credere inferiori, mantenendoci cechi, sordi, muti, e in qualità di subumani.

Il processo d’assimilazione e di cancellazione forzata della nostra cultura e lingua, che ancora continua ad essere applicata dagli Stati contro il nostro popolo Mapuche durante questi 150 anni di occupazione, cominciò con la mal chiamata “Pacificazione dell’Araucania” e con la “Campagna del deserto”, che portò al nostro popolo la più estrema povertà, con il furto di più del 95% del territorio del Wallmapu.

In questo 12 ottobre i nostri Lof lottano giorno per giorno per mantenerci vivi e in piedi, ricostruendoci, ed espellendo le aziende forestali che mantengono occupato una grande quantità del nostro territorio. Le industrie forestali hanno letteralmente distrutto la nostra Mapu, hanno lasciato solo terreni aridi, e deforestato senza mawidantu, senza menokio. Hanno saccheggiato il nostro territorio.

Tre o quattro famiglie multimilionarie si sono riempite il portafoglio, e la loro ricchezza si è moltiplicata negli ultimi 50 anni, dopo la messa in vigore del Decreto Legge 701 creata nel tempo dal dittatore Pinochet, dove 2.500.000 ettari furono utilizzati per piantare eucalipto e pino.

Così attualmente si trova il nostro territorio. I Nostri Lof hanno assunto la lotta del territorio, l’autonomia e la lotta frontale contro il capitalismo e lo stato coloniale, e come risposta gli Stati mettano a disposizione tutta la forza contro la nostra lotta, rivolgono a noi tutto il loro potere in complicità con i governanti senza distinzione del colore politico. Adoperano tutti i loro poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, come veri guardiani a protezione degli interessi del grande capitale, continuando il mandato iniziale: farci scomparire come popolo.

Wallmapu è assediato dalla presenza militare e paramilitare che attuano al limite delle proprie leggi, perseguitando i weichafe, compiendo permanentemente perquisizioni nelle comunità, irrompendo violentemente nelle scuole in presenza di bambini e bambine mapuche. Esiste una grande quantità di prigionieri politici mapuche con alte condanne, normalizzando la prigione preventiva come forma di estromissione delle persone dal loro territorio.

Anche in tale situazione non ci fermeremo a gridare al mondo che continuiamo a vivere e che lottiamo per la nostra liberazione, perché Wallmapu sia libero per sempre, perché è nostro dovere e nostro diritto ribellarci.

Oggi, 12 ottobre 2024, è un giorno quasi senza importanza, però per me amaro Compio 6 mesi in prigione politica, insieme a un pugno di weichafe, giovani valorosi che hanno assunto la vera lotta del nostro popolo.

Inche werkengen temulemu mapumew

PU PICHIKECHE

PICHIKECHE

Mari Mari pu pichikeche fil mapumew

Mulele, inche werken Rafael Pichun

Pigen, fewla malaltulen tufachi malal weda ruka


A tutti i bambini del mondo un

Affettuoso saluto dalla prigione

Politica e dalla prigionia in cui mi trovo

Qui nel carcere di Temuco il mio nome è

Rafael Pichun Werken Mapuche

PICHIKE ÜL

kiñe

Gewelay mawida, gewelay lawen

Gewelay ko...

Tripache weñelepay itrofil mogen

Amule weichan, inkayal mapu

Mogeleal pu ke che


epu

Uñüm ügür ügur feypilekey piden

Pi pi pi, feypilekey wilki

Trüwül trüwül feypilekey trewul

Kuac, kuac, kuac feypilekey wala

Üñum ulkatukey feypilekey


kula

Siamo piccolini

Siamo orgogliosi

Abbiamo un gran sangue

Che alzino le mani

Tutti i bambini

Che sono Mapuche orgogliosi

Alza le mani pewum

Se sei una Mapuche orgogliosa

Alza le mani wenulef

Se sei un Mapuche orgoglioso...


</strong>meli</strong>


Inche nien kiñe pichi trewa

Emi niemi epu ge lelien...

Fey niey kula tripantv

Feyegun petu mulileigun aukatun mew


kechu

Chiwud aukatun

Mampule purruaimi purruaimi

Welepule purruaimi purruaimi

Elaikeigun pupichi keche

Chiwud purrun


PULÜKAWEL (EPEW–PIAM)

Nel mawidantu, dove l'alba arriva un po' più tardi del tramonto, in quel luogo montagnoso e impenetrabile dove si trovano diversi alberi nativi e un menoko che da la vita agli esseri del posto, lì vive Pulükawel, il piccolo cavallo grigio piombo con le ali e un corno sul naso, vive insieme alla illtrofilmogen.

La sua casa si trovava all'entrata di quei fitti boschi nativi del posto, che viene chiamato 'el Calaoso' (Calabozo). Chissà se fu mai usato come luogo di tortura e detenzione dai padroni di feudi nei tempi della colonizzazione.

Dicono che uno dei primi a diventare proprietario fu un signore chiamato Cardenio Lavìn, adesso i suoi discendenti sono nella politica cilena. Temulemu, Didaico e El Pantano sono comunità mapuche adiacenti ai questi terreni, “Santa Rosa de Colpi” e “Chorrillos”.

“El Calaoso” è ancora qui. C'è ancora qualche segno di vita, negli ultimi anni è stato colpito da grandi incendi, prodotti della siccità, caldo e alte temperature. Tra gli anni 1990-2000 questo luogo fu l'epicentro della lotta mapuche per il territorio. Nell'estate del 1999, fu uno dei luoghi in cui lo Stato del Cile mise alla prova e usò tutta la sua capacità per reprimere e riuscire a annientare la lotta. In quell'estate ci furono grandi scontri tra carabinieri e mapuche.

I tre Lof decisero di recuperare il territorio che stava nelle mani dell’azienda forestale Mininco, che era custodito dalle Forze Speciali dei carabinieri. La lotta fu molto dura, molte persone furono ferite, imprigionate e violentate, tanto da portare quasi alla sconfitta delle forze mapuche.

I Lonko dei tre Lof, che guidavano la lotta, presero la decisione di fare un gran Ngulliatun per chiamare ai ngen e newen del territorio. La partecipazione alla cerimonia fu di massa, con molto newen, arrivarono tutti i pu che.

I Pu Lonko della machi Ankamilla vennero a portarci molte parole e messaggi su come avremmo dovuto continuare la lotta. Uno dei messaggi fu che dovevamo andare al Calaoso, a visitare al ngen pulükawel. Le loro parole vennero ascoltate e tutta la gente andò a supplicare e chiedere aiuto al Ngen Pulükawel. Fu così che venne svegliato con newen perché ci accompagnasse nella lotta, fu così che decisero di rimanere uniti per quando sarebbero arrivate le forze militari cilene.

Il 19 febbraio del 1999 avvenne una delle invasioni più volente, che terminò in una battaglia sul campo. Tra i mapuche c'erano molti feriti, il Lonko e la Machi furono quasi sul punto di morire, molti furono incarcerati e molti torturati. Tra i carabinieri anche ci furono feriti, però con minore intensità.

La rabbia crebbe tra le persone, così venne allora decisa l'espulsione definitiva dell’azienda forestale e delle forze di polizia.

Fu per il 4 di marzo che venne dato il segnale per l'attacco agli accampamenti installati per proteggere i lavori, parteciparono più di 300 mapuche, della zona e di altri Lof, che vennero ad aiutare da diversi territori. La risposta delle forze repressive fu molto violenta, fu come una vera guerra, gli accampamenti della forestale bruciarono tra le fiamme, la polizia si ritirò e ci fu una sensazione di vittoria per i mapuche.

Poco dopo, nel cielo apparvero un elicottero, aerei volando nell'aria e iniziammo ad essere abbattuti, ci sparavano dall'alto ed era molto difficile contrattaccare in quella situazione.

Quando eravamo ormai molto stanchi, apparve, tra il fumo insieme all'aereo, il piccolo grande cavallino Pulükawel. Combatteva da solo! Inizialmente, fece precipitare un aereo che cadde tra i monti divisi e un altro tra alcuni monti del Pellahuen, così dissero.

La gente che era presente in quel momento rimase immobile, cercando delle risposte a quello che stava vedendo. Fu uno spettacolo, come se fosse un film, ma non lo era. La situazione era tesa e triste- Il piccolo ebbe il coraggio di affrontare quei macchinari dei winka, lottò senza sosta, tutti noi eravamo con il cuore accelerato, tanto che a poco a poco sentivamo arrivare quella maledetta tristezza, che veniva come un fumo forte e spesso nel vento. Così tutti, continuavamo guardando al cielo, come veniva portata avanti quella battaglia dai poteri sovrannaturali tra le forze newen mapu – newen winka.

Il nostro piccolo cavallino con le ali Pulükawel fu sul punto di vincere, mentre volava sopra una nuvola. Fu in quel momento che tutti i presenti – facendo newen e nguillatucando – vedemmo come l'elica di un elicottero tolse d'un colpo il corno dal naso del cavallino. Con molta tristezza, alcuni giovani andarono a raccogliere il corno che cadde tra le montagne dalle tre discese, e da quel momento il nostro piccolo iniziò a perdere le sue forze.

Il lonko Pascual Pichun, del Lof Temulemu, Nguillatucó con il corno che portarono i giovani, lo utilizzò come kul kul per chiamare il resto delle persone che si era dispersa nei dintorni di Santa Rosa de Colpi e Chorillos. Mentre Pulükawel continuava a lottare contro gli aerei, il lof continuava

a riunirsi per realizzare newentun e aiutare il piccolo guerriero, fino a che riuscimmo ad arrivare dove oggi si trova il nostro Nguillatuwe. Devono essere passate tre o quattro ore dal primo attacco del piccolo guerriero e già mancava poco perché il sole sorgesse... Avevamo fiducia in che avrebbe vinto Pulükawel, quando d'improvviso lo vedemmo cadere lentamente dal cielo.

In quel momento, il nostro piuke ci stava avvisando di qualcosa di terribile, le nuvole iniziarono a coprire il cielo e al Lonko non riusciva più far uscire il suono del kul kul che poco prima stava facendo rimbombare ovunque. Allora prendemmo i cavalli e partimmo alla sua ricerca, per vedere se fosse ancora in vita. Un giovane robusto e ben scuro, dalle spalle larghe, un kona che non misurava più di un metro e di media altezza, arrivò per primo e si lasciò andare in un pianto molto triste, anticipandoci il peggio. Per molti di noi, che avevamo vissuto da bambini camminando per el Calaoso alla ricerca delle nostre mucche e che in tante occasioni giocammo con Pulükawel, in quel momento di tristezza ricordammo tutto quello che avevamo vissuto e piangemmo.

Eravamo molto felici e molto amici tra di noi, sopratutto tra i bambini di Temulemu esistevano delle amicizie molto profonde, rispettavamo alla natura e quel momento fu molto triste. Prendemmo il nostro piccolo eroe guerriero Pulükawel e lo portammo al Nguillatuwe. I più grandi presero la decisione di fare un eluwün di quattro giorni e consegnarlo in seguito ai negen del Calaoso, perché il suo pullü ci proteggesse per sempre e recuperassimo i feudi perché tornassero a essere nostri.

Fu così che oggi viviamo nelle terre che grazie al weichan sono “territori liberi”.

Pulükawel si vede ancora certe volte volando tra le nubi, proteggendo il Lof, e ci segue dandoci newen per continuare a lottare.

ANCHI AILEN (EPEW – PIAM)

Il lof Weluwechur si trova tra i fiumi Colpi e Didaico, ai piedi della cordigliera di Nahuelbuta, molto vicino al luogo in cui avvenne il fatto storico: Il Trionfo di Curalaba (Kuraleubu). Attualmente vivono lì molte famiglie mapuche, in condizioni di sovraffollamento, dopo che vennero violentemente ridotti, agli inizi del 1900, da quella che viene erroneamente chiamata “Pacificazione della Araucania”.

Il territorio del Lof venne diviso tra tre coloni arrivati dall'Europa (svizzeri, tedeschi, italiani, tra i vari). Il governo cileno dell'epoca consegnò loro questi territori gratuitamente, che adesso si trovano nelle mani delle compagnie forestali.

Nel Lof Weluwechur vive Anchi Ailen insieme alla sua famiglia, una bambina di 13 anni di età; il suo nucleo familiare è composto da cinque membri, suo chaw (padre), sua ñuke (madre) e due piccoli fratelli. Suo chaw chiamato Wunen Ailen, è il werken del Lof.

Wunen è stato detenuto dalla polizia di Stato, dopo che aveva chiamato per il recupero di tutti i fondi e dintorni forestali della zona, perché sono nostri, dei mapuche. La finanza, il governo e le imprese forestale fecero causa a Wunen ai tribunali cileni per mandarlo a giudizio, accusato con la legge di sicurezza interna, oggi è incarcerato, lontano dalla sua famiglia e comunità.

Malen – la ñuke di Anchi – ha dovuto assumersi i diversi ruoli familiari del lof, lei con i suoi tre figli lotta giorno per giorno per mandare avanti la famiglia e mantenere la ruka, lavora nell'orto, vende verdure, alleva galline ovaiole, ha una bella fattoria e si mantiene così. Ha dovuto anche assumersi responsabilità comunitarie, fomentando nguillatun, guillaimawun, oltre che organizzare proteste per la liberazione dei prigionieri politici mapuche, in questo caso per Wunen, suo wentru.

Si erano sposati molto giovani, e con l'usanza mapuche. Lui la andò a “rubare” a un Lof che si trova all'altro lato delle aree boschive, in una azione di coraggio, 'a cavallo' e accompagnato da un amico kona irruppe nella tranquillità di quella famiglia e lo fece per l'amore di Malen.

Da quel giorno furono molto felici, a parte che era preoccupata per la sua ñuke Kuche, sua nonna, che era rimasta sola dopo che era morto l'ultimo figlio che le faceva compagnia, ferito mortalmente da un altro mapuche, in un regolamento di conti per una 'gara di accerchiamento' di alcune parcelle che dava loro la CONADI... si incontrarono in una festa contadina e fu lì dove li assestarono la pugnalata mortale. In queste feste si trovano molti mapuche che cercano di evadere dalla realtà attraverso il consumo di alcohol.

Una mattina Malen dice a sua figlia Anchi di andare a visitare a sua nonna Kuche, che vive nel Lof 'Fotrako'. Per arrivare là deve attraversare la Forestal Mininco, che copre 2.500 ettari, e Anchi può scegliere tra due cammini, uno che è dritto e per essere percorso prende poco più di un'ora, o uno che fa il giro lungo, che è l'altro cammino che prende il triplo del tempo. Questa volta sceglie il cammino breve, “tutto dritto”, sapendo che avrebbe potuto essere controllata dai “sanwe” armati, che fanno da guardia ai terreni che vengono dichiarati proprietà privata, e che certe volte lasciano a un “guru” che sembra un rospo, per controllare, mentre i sanwe sinchones escono a bere wedako (alcohol). I sanwe sinchones sono violenti, appartengono al mondo dei katripa (cileni), mentre il gürü viene da una famiglia del Lof che sta sempre a 'saccheggiare' dalle persone della zona, vive di questo ed è molto mal vista da tutti già che la sua forma di vivere è molto lontana da assomigliare ai valori mapuche. I sanwe sono anche loro impiegati dei facoceri bianchi, che quasi non si vedono o si vedono molto poco, però controllano tutto e nessuno sa da dove.

Mailen vuole sapere della sua ñuke Kuche, aveva saputo che non stava molto bene di salute, e che sarebbero andati a visitare Wunen. Si era venuto a sapere attraverso la stampa winka che il governo e la finanza stavano chiedendo molti anni di carcere, quindi il Lof e l'organizzazione stavano coordinando una manifestazione per denunciare pubblicamente il fatto e altre ingiustizie. Malen prepara tutti per l'intera giornata che trascorreranno fuori dal carcere, manifestando.

Wunen è un gran leader del territorio, molte volte arrivavano alla sua ruka politici katripa per offrigli cariche o posizioni politiche, per candidarsi, per presidiare i consigli comunali territoriali, o per portare avanti le politiche di buon vicinato con i fondi o le imprese forestali che si trovano nella zona. Lui si dichiara weichafe, e ora werken, portatore della politica mapuche che gli ha inculcato suo padre Lonkoyem. Il suo discorso è sempre “Territorio e autonomia per il nostro popolo”, lo dice e lo riafferma in ogni trawun al quale partecipa.

Anchi Ailen prende il suo cestino – nel quale porta del cibo per sua nonna (uova, farina tostata, pollo bollito, e altre cose) – e si incammina, cantando allegramente. Si addentra sempre di più nei pini scuri, che sono stati piantati ovunque, ettari su ettari... però va allegramente perché vedrà sua nonna.

Improvvisamente, si sente osservata, “Chi sarà?”, si chiede, continuando però a passo fermo e avanzando. C'è qualcosa che la metteva a disagio, qualcuno osserva i suoi movimenti tra i grandi alberi della monocoltura. Anchi è coraggiosa, una quaglia che ha saputo vivere nei pericoli, non ha paura di niente, cammina a passo sicuro con il suo manto colorato, portando sulla testa nastri di diversi colori, un trarilonko, che risplende di luce nell'oscurità di quel brutto posto. Nella sua mano sinistra porta il cestino e nell'altra la “coscienza contestatrice” che le aveva dato sua zia, che è una machi, per la sua difesa personale.

Lei non ha paura dei sanwe sinchones, tanto meno al gürü, è bella e coraggiosa, però qualcuno ferma il suo allegro camminare: il gürü. “Mari mari, lamgen Anchi” le dice il gürü.

– “Ciao... non sono una tua lamgen. Che vuoi? Quando passo di qui sono di fretta, non do fastidio a nessuno, quindi non disturbarmi” gli risponde Anchi.

– “Bimba, tu lo sai che per qui a nessuno è permesso passare. Questo è un sito particolare e privato, non meno per te. Tuo padre vuole togliere questa terra all'impresa che mi da lavoro e che mi permette di dare da mangiare alla mia famiglia. Che fortuna che lo hanno messo in carcere, stava creando disordine ovunque, ora siamo tutti più tranquilli, la comunità e i vicini” le dice il gürü.

– “Traditore, ignorante e leccapiedi, non ti rendi conto che ora non c'è più acqua ne terra per coltivare. Nessuno vive bene. Il territorio era nostro e libero e tornerà ad esserlo. Saremo liberi come lo sarà il mio Chaw” gli dice Anchi.

– “Dove stai andando?” chiede il gürü.

– “Vado a vedere la mia nonna Kuche, dicono che non sta bene di salute” risponde Anchi.

– “Sfortunatamente bambina, mi hanno appena dato l'ordine non lasciar passare nessuno per qua. Tanto meno tu, che sei la figlia di un pericoloso terrorista. Vai per la strada più lunga... Dimmi, cosa porti in quel cestino?”.

– “Traditore dal cuore marcio, non toccare il mio cestino” gli grida Anchi.

– “Ha un buon sapore quel cestino, se mi dai un po' di quello che porti ti lascio passare”.

– “No, io continuerò il mio cammino e basta” gli disse Anchi “Un giorno te ne pentirai, pollo di un gürü”.

– “E allora da qui non passi, e in più ho un arma da fuoco, se non obbedisci ti sparo” la minaccia il furbone.

– “Azzardati! Se mi spari, tutti i kona del lof arriveranno e ti spelleranno. O forse chiamerai i tuoi ubriachi amichetti sanwe e ci sarà un conflitto non necessario. Me ne vado per l'altro cammino solo per non farti soffrire, perché ho i miei valori e non voglio vederti senza pelle. Però ti assicuro per i ngen della terra che torneremo ad essere liberi” gli dice con fermezza Anchi.

Si racconta che il gürü corse molto velocemente e arrivò per primo alla ruka di Kuche per ingannare a Anchi e mangiare il cibo nel cestino. “Alò, Kuche?” disse all'arrivo.

– “Sei tu, Anchi?” chiese la Ñuke.

– “Si nonnina, sono io”.

– “Entra nella ruka”

– “Si nonna, però tappati gli occhi perché ho una sorpresa”.

– “Va bene, nipote” rispose la Ñuke.

“Stai bene nonna?”

– “No, nipote, sono kutran e vedo molto poco per via del mal di testa”.

– “Aspetta nonna, ti porto lawen per la tua kutran”.

Raccontano che il gürü uscì a cercare lawen, per farla dormire e poter portare così avanti il suo piano. La nonna si addormentò profondamente, e allora il gürü se ne approfittò per vestirsi allo stesso modo della nonna con il suo mantello e i suoi gioielli, mentre aspettava che arrivasse Anchi. Aumentò il fuoco, ci mise della legna umida per fare fumo in modo che all'arrivo di Anchi lei non potesse riconoscere il gürü e andò così:

– “Alò, nonnina?” salutò Anchi,

– “Si, nipotina, sono qui” rispose molto nervoso.

– “Si, nonna, come stai? Perché c'è così tanto fumo nella ruka?”.

– “Sto bene, nipotina, ho solo molta fame”.

– “Bene nonna, ti porto giusto del cibo. Aspetta! C'è qualcosa di strano in te... Sei tu?” chiese Anchi, sospettando il peggio “Hai degli occhi e una bocca molto grandi. Sei tu gürü cattivo e traditore! Che ci fai qui?”.

– “Ho fame” rispose il gürü.

Dicono che in una lotta per il cestino il gürü appoggiò il sedere sul focolare e iniziò prendere fuoco, allora uscì velocemente dalla ruka per cercare acqua con cui spegnersi, e dove prima c'era uno stango d'acqua ora tutto era secco. Il gürü piangeva dal dolore chiedendo aiuto, e fu la stessa Anchi che con un secchio d'acqua spense il fuoco sul fondoschiena tutto bruciato. Il gürü molto addolorato e vergognoso riconobbe di avere fame e di essere schiavo delle imprese forestali.

– “Beimay”.


WEICHANCORRIDO (Canzone)

Io son nato là a Temu,

Son cresciuto tra gli animali,

Là imparai a fare i conti

Senza far altro che contare i tordi.

Tendiamo trappole agli sbirri

Quando vengono a cercarmi,

Molto vicino alla mawida

Si trova la mia ruka elegante,

Molto semplice, fatta in legno

Che ho tolto alle imprese forestali,

Qui arrivano i miei lamgines

Quando vengono a farmi visita.


Dicono che mi stanno cercando

Però non ho paura di loro,

Uno mio amico sbirro

Mi ha dato una pistola,

Una 38 lunga

Così, cammino tranquillo

feley


I ricchi stanno piangendo

Perché hanno sentito i tuoni,

Tutto quello che hanno rubato

Dovranno restituirlo,

Dovranno lasciare la terra

Tornare da dove sono venuti.


Eccoci qui fratelli,

Lottando insieme alla mia gente.

Cercando una strategia

Per liberarci di questo,

Recuperare la nostra terra,

Così, liberare il mio popolo.


EPILOGO

Cronaca della visita al carcere

Carceri, morte, sciopero della fame, cavarsela da soli, indifferenza, sono le parole che mi vengono in mente quando vedo un amico che si trova in prigionia politica, con la libertà limitata, dimezzata la sua possibilità di esprimersi, amputato dal mondo.

Far visita a Rafael Pichun Collonao, nel carcere di Temuco, da la sensazione di vedere qualcuno a cui hanno inflitto un danno.

Ci siamo visti all'inizio dell'inverno del 2024. Ha permessa una sola visita di due ore, 120 minuti per condividere la zona grigia nella quale si trova. Però, prima devi passare per il controllo, durante il quale ti viene tolta ogni identità, per poi passare le porte che sono sorvegliate dai cerberi del potere.

Tra corridoi vedi un telefono abbandonato dal tempo, che ancora funziona con monete da 100 pesos. Sotto le scale c'è una rete improvvisata, da pollaio, dove si trova una persona imprigionata, quale sarà stata la sua eresia? Ovunque guardi, appaiono precarietà e assenza di dignità. Il carcere riproduce e illustra la società in cui viviamo che, ormai spogliata dai contrassegni del discorso del politicamente corretto, è solida e violenta.

L'amministrazione giuridica inizialmente ti rinchiude, poi ti dice perché ti tengono prigioniero. La giustizia nell'Araucania è un capitolo mancante del Processo, di Kafka.

Per quanto riguarda lo spazio che viene destinato alle visite dei membri della comunità mapuche, si tratta di una sala che funziona come una cappella, per cui sono presenti tutti i segnali e la violenza simbolica, vale a dire la Croce con il suo cristo martirizzato e la Vergine. La sala è umida, con pareti scrostate, che peggiorano con il freddo.

Questo gulag della periferia capitalista controlla il tempo di Rafael. Lui condivide uno spazio di 20 metri quadrati con 30 persone. Nella sua routine giornaliera gli vengono concesse due ore nel cortile. Hanno una cucina elettrica, che ci mette un'ora per cuocere degli spaghetti. A volte, c'è qualche possibilità di andare nella Biblioteca Manuel Rojas, del penitenziario, se è aperta.

In questi mesi il sovraffollamento è aumentato, con l’arrivo di più che, in conseguenza alle razzie perpetuate dal governo. Mettendo in atto la Pax Hacendal, attraverso la sottomissione e la repressione di coloro che cercano la libertà e l'autonomia.

Il 12 ottobre del 2024, Rafael disegna con lacrime nascoste l'imprigionamento eterno, dal momento che è un uomo mapuche libero che non sarà mai sottomesso. L'immaginazione, la proiezione, la riflessione e l'allegria sono elementi consustanziali del suo essere nel mondo. Sempre contro la morte che impone, a sud del fiume Biobío, la macchina capitalista.

Ci siamo riuniti, quando ormai Rafael compie sei mesi di prigione. Che sia preventiva è solo un eufemismo o un brutto scherzo giuridico. La sua voce, ferma, sospesa e calma, fa mutare le sbarre in pewenes, mentre beviamo insieme il mate, la stanza si converte in un eco della cordigliera di Nawelbuta, vediamo gli uccelli, attraverso le sbarre, sbarre e ancora più sbarre, ma sono solo uccelli di acciaio con il loro tintinnio metallico nella città.

Durante la conversazione, Rafael fa notare che è una sfida costante raggiungere l'equilibrio tra lo spirituale e il reale. La dimensione spirituale con i suoi di sentimenti e soggettività, E di come i suoni della natura fanno nascere la parola. Il parlare della terra, il mapu, il dugun.

Il primo che si equilibra con il reale, la materialità dove scorre la vita, dove lotta il potere, la violenza e le opzioni che affronta il popolo mapuche nel suo cammino per la autodeterminazione e liberazione.

Per Rafael l'equilibrio è un 50-50.

In questo breve momento di sole, Rafael dice che il presente libro riflette sulla trasformazione degli elementi, attraverso epeú e piam; mi spiega, sinteticamente, gli epeú sono favole, caratterizzate dalla presenza di animali; i piam fanno riferimento a storie reali.

Un argomento che torna nel nostro nütram, che si trova nel metatesto, è la critica all'istituzionalismo cileno e come viene processata la socializzazione mapuche in un concetto chiamato educazione tradizionale. La storia e la vita del popolo mapuche è frammentata, sciolta e digerita dal curriculum della educazione, che esige al mapuche un mapudungun trasformato, tradotto e, quindi, occidentalizzato.

Il mapudungun è stato spogliato dalla sua base spirituale. Per Rafael è impossibile tradurre il mapudungun, dal momento che ha significato in modo globale, nell'essere un una lingua totale, che non è stata scissa dallo scoppio della modernità.

Questa contraddizione, tra il dire e plasmare sulla carta, viene risolta togliendo il dubbio e facendo due testi in uno. Lui scrive nella sua doppia dimensione e parla ai suoi lettori mapuche e alle sue amicizie winkache. Quindi, quello che è scritto su carta non è la traduzione, dal momento che non ha la stessa interpretazione. A volte l'idea si traduce, però la parola non dice del tutto lo stesso e coloro che leggono, non leggeranno lo stesso, la parola iscritta su carta viene decifrata da ogni che del suo lof.

Per spiegarmi quanto appena detto, Rafael si serve di un esempio: “Mari mari, è un saluto, un ciao. La sua traduzione è come una dissezione, perde il suo significato, lo svuota di significato, per il fatto di essere un'interpretazione. Già che mari, letteralmente è 10, con 10 assorbe energia, con 10 restituisce energia. Si può tradurre questa profondità?” è la domanda.

Rafael torna e riflettere sulla spiritualità, suggerendo che ciò che è spirituale è collettivo ed è intessuto di diversi affetti e responsabilità; così quando nasci in una famiglia, dentro una comunità, questa appartiene a un lof e a un territorio che, a sua volta, appartiene a un ayllarewe, che si integra in una identità territoriale.

Connesso a questo, parla dell'ordinamento politico-culturale, che si esprime nel Kune, Rume, la famiglia e le alleanze con altre famiglie. Perché il mapuche, dice, ha bisogno di unirsi con un altro, non sta mai solo, sta con la famiglia, con le famiglie e in un territorio, che sia nel rewe o nel nguillatún. Chiude gli occhi, si apre al ricordo, si trova in una cerimonia millenaria, guardando l'alba, che si riflette in ogni pentola di ciascuna delle famiglie presenti...

Rafael conclude: non è che non voglia tradurre i suoi scritti in mapudungun, se non che, ed è esplicito, non si può fare, dal momento che ciò che viene tradotto non riesce mai a dire lo stesso di ciò che viene scritto, per lui è impossibile che dica lo stesso in castellano quando scrive in mapudungun.

Nell'interpretazione si leggerà la stessa cosa che è stata scritta, se il lettore è mapuche.

Considerando i titoli che lui dà ai suoi scritti prodotti durante la sua carcerazione e ai sui pensieri, Rafael ha raggiunto una quiete esistenziale, è Maw kurruf duguy werken Kiñewunngetuael. Spera che questa pioggia di parole, del werken, il weichafe del wenu e nag mapu, sia anche una creazione che possa portare all'unificazione davanti alla frammentazione.

Che le sue poesie e le sue frasi liberino e riparino.

Che le tue parole, Rafael, siano pietre, raggi che coprano cordigliere, valli e sponde, che riempiano il vuoto e diano certezza a chi grida all'organizzarsi e al continuare. E a coloro che già sono soddisfatti, che possano scuoterli perché ritornino al cammino del che.

Dici quello che il piuke ti dice. Nel tuo libro appare trasparente il centro della tua immaginazione, volare, liberare il mondo, sopprimere l'origine del dolore. Anche se, sempre sarai il responsabile, il sospetto, l'iconoclasta che mette in discussione la proprietà privata. Anche la tua gioventù è stata di prigione e scioperi della fame.

E cosa chiede Rafael in questo momento, davanti ad un processo ingiusto?

“Per lo meno potrebbero avere una garanzia, un altro tipo di garanzia, per il mio caso personale, che non abbia a che vedere con la prigione preventiva, si sarebbero potuti scegliere gli arresti domiciliari o altro, io non ho problemi ad andare a giudizio e dimostrare che sono innocente, ma penso che il Governo e lo Stato si sia impuntato con noi, con me in questo caso”.

Il potere giuridico non riconosce numerose relazioni che supportano la revisione delle misure cautelari, specialmente quelle riferite alla sua salute, nello specifico alla sua cardiopatia congenita. Suo padre, suo zio e sua zia morirono rispettivamente a 58, 56 e 45 anni, ricorda Rafael, per questioni di cuore. Per cui lui, con i suoi 43 anni, è nell'età a rischio.

Una seconda relazione – dice Rafael – ha vedere con la sua situazione familiare, “risulta che io ho due figli minorenni, la loro madre è morta. Quindi io ho la loro responsabilità e essendo detenuto sono rimasti senza nessuno, soli. Sono a carico di mia madre. Anche questo è un precedente molto importante, perché si stanno rendendo vulnerabili i diritti dei bambini, dei miei bambini, e sapendo qual'è il mio caso, facilmente avrei potuto essere messo agli arresti domiciliari, perché non è necessario che io stia in carcere”.

Infine, il terzo rapporto “ha a che vedere con la difesa che io ho nel tribunale Interamericano per il caso di mio papà. Mio papà denunciò lo Stato cileno alla Corte Interamericana,e la corte condannò lo Stato cileno per violazione di Diritti Umani, per essere stato incarcerato ingiustamente, come nel mio caso”.

Il tribunale è a conoscenza di questi precedenti, ma Rafael dice non hanno dato accesso alla sua richiesta degli arresti domiciliari, o in alternativa, al trasferimento nel centro penitenziario di Traiguén, che è nominata nel presente testo, il quale vi invito a riguardare, immergersi e camminare insieme a chi sarà il vostro wenuy a finire la lettura, Rafael Pichun Collonao.

Winkaita Notro, Inferno del 25.

PU CHE

Mi dichiaro femminista comunitario ancestrale.

Un messaggio subliminale pu che.

Ho un discorso per voi,

però è meglio che non dica niente;

per mantenere la pace sociale.

Pu che.


Dedicato alle mie wenuy “femministe comunitarie dell’Hermida”


REGLE CHI ANTU EM MULELU NI

PUNMAGI NI FELEN

Sette giorni facendo vita nell’oscurità


Giorno 1:

Il dolore che produce quando nasce un fiore.

Compleanno del mio ñawe Sayi.

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Giorno 2:

In questa tormenta, malocchio vedo il guercio.

Poca luce.

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Giorno 3:

Con la forza bruta e tenera

si rompono le catene.

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Giorno 4:

Il volto della depressione ha bruscamente interrotto il mio sogno di concerto.

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Giorno 5:

Frenare i nostri limiti non appartiene al nostro lonko,

i nostri piwke laten sono per altre cose superiori.

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Giorno 6:

Quando le idee fluiscono, allora avremo le condizioni per dire Wallmapu libero.

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Giorno 7:

Volo, portaci fin dove bisogna arrivare.

Senza limiti...

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ALLEGATI


7 di ottobre 2024


Per il popolo fratello palestinese:

Mari mari kom pu peñi ka pu lamgen, pu wenuy keyuntulelu tain weichan dugu new.

Ho l'onore e l'orgoglio di inviare questo saluto che nasce dal più profondo del piwke, del nostro territorio, delle nostre vite e della nostra wallmapu.

Per il glorioso popolo palestinese.

Inche rafael pichun collonao pigen, werken del lof temulemu mapu e organizzazione mapuche cam. Sono oggi un prigioniero politico mapuche, accusato di essere autore di delitti, autore intellettuale per alcuni sabotaggi, accuse che portano avanti lo stato coloniale cileno e il sistema capitalista che saccheggia i nostri territori.

Stando qui nella carcere di Temuco insieme ad altri weichafe, osserviamo con newen lo sviluppo della lotta di liberazione del popolo palestinese che con dignità dà la sua vita per la propria libertà, affrontando le potenti potenze mondiali e nello stesso territorio lo stato genocida di Israele, rappresentando per noi luce di speranza rispetto a milioni di oppressi in fase di liberazione del mondo attuale.

Noi, il popolo nazionale mapuche, come le sorelle e i fratelli palestinesi, portiamo con noi anni di giuste lotte per la liberazione di wallmapu, che come tutti sanno è occupata militarmente dallo stato cileno e argentino, per cui abbiamo il diritto legittimo alla ribellione e alla nostra liberazione.

Così come il popolo palestinese lotta instancabilmente contro lo stato sionista di Israele, noi contro questo stato coloniale al servizio del capitale.

Inviamo un grande abbraccio rivoluzionario per tutti gli oppressi del mondo wewaiñ.

Perchè gridare wewaiñ ka marichiwew è un grande atto di amore e ribellione.

Gridiamo al mondo marichiwew.

Werken Rafael pichun collonao, lob temulemu, trokin camche.


3 di gennaio 2025


Mari mari kom pu peñi ka pu lamgen newentulelu faw mew, kiñe tra chaliwuntuan kom eimun pu ke che, ka chalituan pu ke fil wenuy azkadilelu tain mapuche dugu fantepu. Inche Rafael Pichun Collonao pigen, werkengen tani lof temulemu mapu mew ka werkenlulen trokin mapuche cam - che. Fantenmew malaltulen winka ni zayukan.

La storia di lotta che ci portiamo come popolo nazione mapuche nel corso dei secoli, lotta che portiamo instancabilmente dall'inizio dei nostri kuifikecheyem, nostri antenati, con orgoglio e lealtà, con i nostri valori continuiamo la loro eredità.

"...Lo stato vuole che noi siamo parte del suo folklore..." disse Matìas una volta.

E'paradossale vedere che il mondo occidentale attraverso la forza avanza in direzione opposta al mapuche, nel nostro stesso territorio occupato militarmente, usando il sistema coloniale e tutta la sua attrezzatura per continuare a saccheggiare e distruggere tutte le risorse naturali della terra.

Mentre il mapuche grida al mondo che è possibile un altro mondo, uno migliore, tornando a vivere la nostra propria vita nella mano della terra.

Qui non c'è posto per ideologie straniere.

Vuole che siamo parte del suo folklore?

Quanta ragione aveva Matìas più di 17 anni fa quando parlò.

Oggi le sue parole sono più attuali che mai. Lo stato cileno è nato, vive e e continuerà ad essere un traditore. Ci vuole folklorizzare, per continuare a invisibilizzarci come mapuche.

E' Gennaio del 1825 quando la nazione mapuche e la nascente repubblica del cile celebrarono un grande accordo diplomatico nel trattato di Tapihue, per rispettare la nostra sovranità, e furono gli stessi cileni che tradirono l'accordo, che invasero il nostro territorio con un genocidio, strappandoci più del 95% della Wallmapu.

Così è stato che hanno violato trattati e accordi che sono attualmente vigenti a livello diplomatico internazionale. Quest'anno si compiono 200 anni di questo fatto, e purtroppo, continuano ad essere traditori. Ricordano l'esplosione sociale? Quei guerrieri rivoluzionari di quel popolo che si alzò in rivolta? Finirono coll'innalzare la bandiera mapuche, mi immagino che sia un segnale di unità con la nostra causa. Alcuni di questi personaggi arrivarono al potere e nei primi giorni del loro governo hanno fatto sentire la loro ammirazione per i mapuche... utilizzavano parole in mapudungun e dicevano "wallmapu". Era tutto bello fin quando abbiamo detto loro che la nostra richiesta era e continuerà ad essere il territorio e l'autonomia. Qui, non esitarono un secondo nello schierare i militari col fine di proteggere le installazioni estrattiviste: principalmente le forestali e difendere il modello neoliberale. Chissà forse credevano che noi mapuche siamo gente che sta a suonare trutruka e a fare purrun tutto il giorno vivendo del mistico come nelle leggende. Loro ci vogliono folkloristici.

"...Dove uno nasce, lì deve morire, è legge mapuche..."

Con Matìas siamo diventati amici quando lui cominciò a svolgere la sua militanza nella CAM, in un collettivo di giovani mapuche di carattere autonomista. E'stato nei primi mesi dell'anno 2007, lì ho ottenuto la mia libertà per studiare una carriera universitaria. La Gendarmeria in quegli anni mi ha dato un pò di libertà con il beneficio dello studio, dopo questo, un paio d'anni in prigione politica. Matìas, era una persona molto colta e informata, aveva ben a mente le sue idee e i suoi progetti. Dal tempo in cui eravamo amici e militanti lui faceva il suo ritorno al lof, pianificava il suo futuro, con umiltà sviluppavamo idee che furono di beneficio per la nostra gente, e sono stato testimone della spoliazione della vita occidentale che lo legava. In qualche nutram ricordo che mi diceva di sentirsi incomodo nell'avere l'aggettivo di "warriache", che questo concetto è utilizzato per gente delle città per giustificare, sostenere e perpetuare la loro presenza nella città evitando così il ritorno in wallmapu.

Che ragione c'era in tutte queste parole.

Quante pubblicazioni in reti sociali che hanno tentato di cambiare la storia di Matias ho visto in questi anni...

Dal modulo dei comuneros inviamo un grande abbraccio alla famiglia Catrileo Quezada, chiediamo loro di restare saldi nella lotta. Invio anche un abbraccio speciale a i miei due NUKE di Matias: Mónica Quezada. Voglio dirle che c'è una luce di speranza con lo sforzo e il sacrificio, sapremo liberarci dalle oppressioni, pertanto proclamiamo il diritto sacro alla ribellione per una wallmapu libera, che finalmente arrivi la giustizia e con lei l'infinita felicità. Matias è un weichafe della nostra liberazione e lottando lo ricorderemo.

Kiñewtulelein kume ruf, ka amualu tain kume weichalen, welu muley choyun petu newentulelu.

Perchè gridare wewaink ka marrichiwew è un grande atto di amore e ribellione.


Werken Rafael Pichun Collonao



Grazie a tutti e tutte che parteciparono alla realizzazione di questo libro:

mio grande amico Martin Correa, Alexis mio wenuy, mia nipote Ayelen, mio peñi Marcos, la lamgien Claudia e la mia ayinetew Coni.

Grazie a chi mai ha abbassato le sue braccia in questa lotta:

Alla mia wenuy Tala, mia zia Ernestina, mio peñi Oval, la mia portavoce Tamara, mia cugina Dani, Ka pu lamgen ka pu peñi amulelu dugu weichan.


Amulepe