Una domanda apparentemente banale. A leggere. E a cosa serve leggere? A pensare. E a cosa serve pensare? Probabilmente ad essere più infelici di prima, considerando come va il mondo. Non si spiegherebbe altrimenti il contemporaneo continuo aumento dell'uso di psicofarmaci e antidepressivi e la chiusura delle librerie. Proviamo a restringere il campo. A cosa serve la pubblicistica anarchica? A cosa serve il pensiero anarchico, la storiografia anarchica? A cosa servono le biblioteche, le distribuzioni, le case editrici, gli archivi, le librerie anarchiche?
Ci sono diversi motivi per cui individui anarchici si occupano di pubblicare. La pubblicistica anarchica ed il suo mondo sembrano essere comunque una delle poche cose che l'anarchismo contemporaneo riesce ad alimentare, oltre che la miseria umana e relazionale ed i concerti punk hardcore. Proviamo quindi ad analizzare diverse prospettive possibili sul senso e l'uso del libro.
Libri come bandiere
Abbiamo bisogno di punti fissi. Riferimenti che ci rassicurino in alto mare. Veleggiare senza la scorta della Stella Polare è cosa rischiosa. Più che le tempeste, spaventa la bonaccia. Ritrovarsi fermi, interrogando le nuvole in cerca degli Alisei. Eppure, dovrebbe essere qui. Eppure, avevamo un appuntamento. Oppure girare in tondo, scorgere sempre gli stessi detriti all'orizzonte, ed ogni volta ci paiono la tanto desiderata terra. E, lentamente, l'acqua e i viveri finiscono. La paranoia si impadronisce di noi: il sospetto, l'odio, il ribrezzo sono la chiave del nostro rapporto con gli altri. Siamo bloccati in mezzo alla vastità dell'oceano su questo ferale guscio di noce. Altro che Galeone.
A volte, quindi, dobbiamo convincerci di essere ancora vivi. Dobbiamo convincerci che qualcosa ancora esiste, al di là di noi stessi. Un motivo per alzarsi al mattino. Un motivo per guardarsi allo specchio senza inorridire. Purtroppo, a volte, la densità storico/pubblicistica dell'anarchismo diventa uno di questi riferimenti rassicuranti. Il passato dell'anarchismo, quindi, non resta un elemento tra tanti altri che ci permette di alimentare il conflitto sociale nel presente guardando al futuro, ma diventa opera di custodia e di giustificazione del proprio impegno. Le vestali del tempio trovano nell'officio quotidiano della liturgia ragione del proprio essere.
Un potenziale inespresso
Il tema delle fonti – e quindi degli archivi – è certamente un tema non marginale in questa riflessione a tutto campo [sulla ricerca storica in ambito anarchico, n.d.r.], e non riguarda solo gli archivi che potremmo definire tradizionali ma anche i “nostri” archivi, quelli che conservano “carte irrequiete”, ovvero più fluide, scomposte, fragili, lontane dai protocolli istituzionali. Un’irregolarità che a certe condizioni può diventare una forza anziché un limite e che ha messo in evidenza la necessità di ripensare lo statuto epistemologico dello stesso concetto di archivio. Gli archivi di movimento in generale e i “nostri” in particolare hanno fatto emergere un bisogno fondamentale, quello di coniugare la forte tensione tra l’archivio come contenitore di memoria e l’archivio come strumento politico. Sono appunto questi gli archivi che hanno posto con forza la questione di trovare un punto di equilibrio tra la conservazione e l’attivismo archivistico della memoria proprio dei contesti militanti. Un equilibrio incerto che modifica la percezione quando questi archivi vengono digitalizzati e resi accessibili online; un cambiamento che potrebbe comportare il rischio di un loro appiattimento o che potrebbe al contrario aumentare la loro carica vitale.[1]
Questa è una potente domanda: cosa porta all'appiattimento e cosa conduce piuttosto ad una moltiplicazione della carica vitale? Sicuramente la vita non sta nella chiusura e nell'accumulo. L'archivio può considerarsi vivo e capace di incidere sul mondo solo e se viene usato da coloro che vogliono sentirsi vivi e vogliono incidere sul mondo. Tipologie umane che di solito hanno troppa fretta di vivere per appassionarsi alle buste a ph neutro o ai guanti bianchi per non contaminare con gli acidi grassi della pelle un ciclostilato della Comune di Parigi. A fine agosto del 2025 a Losanna, in Svizzera, ci sono stati diversi giorni di scontri e barricate in seguito all'uccisione da parte della polizia di un ragazzo che stavano inseguendo. Ecco un contesto dove un archivio anarchico, ovvero un deposito di idee sovversive, dovrebbe riuscire a catalizzare e alimentare con ciò che conserva le istanze di rivolta. A Losanna c'è anche il CIRA, ovvero il Centro Internazionale di Ricerche sull'Anarchismo, la cui collezione è una delle più grandi d'Europa. Ecco, ci auguriamo che il passaggio della tensione anarchica, dagli scaffali alle strade, sia effettivamente avvenuto.
L'archivio, quindi, deve aprirsi al mondo, ma non può restare semplicemente in mostra, consultabile online. Abbiamo spostato il problema, peggiorandolo: dal mettere in mostra i libri su uno scaffale a metterli in mostra su uno schermo. Se prima quantomeno nella condivisione reale dello spazio poteva accadere qualcosa di inaspettato, attraverso il mezzo elettronico i risultati coincidono con le chiavi di ricerca utilizzate nella barra. Ma se la domanda che ci attanaglia è composta da parole che non esistono ancora, come pensiamo di poter trovare in questo modo qualcosa che riesca ad alimentare il nostro pensare? Forse il punto è che l'archivio deve uscire materialmente dalle proprie mura, non digitalmente. Deve essere stampabile e distribuibile nel mondo, perché è nel mondo reale che avviene l'incontro imprevedibile e inaspettato.
Nonostante la difficoltà delle relazioni interpersonali che rallentano e complicano inutilmente il processo, nonostante la diffidenza che le tecnologie più recenti ispirano ancora in alcune persone (si attribuiscono agli altri le malefatte che si sarebbe capaci di commettere), nonostante il mantenimento di un forte gusto per la carta, che non implica, al contrario, che si debba ridurre l’uso di altri mezzi di comunicazione, la conservazione e la diffusione hanno fatto passi da gigante negli ultimi decenni. Alcune anomalie devono ancora essere corrette, ad esempio quando il catalogo digitale di un archivio o di una biblioteca è incompleto, inutilizzabile o addirittura inesistente. Bisogna però lodare l’esemplarità con cui alcuni centri di documentazione riescono a passare il testimone, a evitare l’insidia dell’intorpidimento e a ignorare le incomprensioni intergenerazionali. La quantità di energia impiegata è immensa, commisurata agli ostacoli da superare. Oltre alle difficoltà finanziarie, tecniche e organizzative, è forse sul piano linguistico che resta ancora molto da fare per facilitare ulteriormente gli scambi e superare le barriere che persistono tra le aree linguistiche. Poiché i nostri oggetti di studio hanno spesso dovuto ignorare i confini, non c’è dubbio che potremmo imparare di più dalle pratiche del passato, le cui implicazioni linguistiche devono ancora essere studiate.
Fa riflettere il fatto che siano quasi gli anarchici stessi ad essere da ostacolo alla diffusione delle loro idee. Esiste una particolare gelosia riguardo a ciò che viene conservato. Come se si potesse essere proprietari di un qualcosa che è esistito in alcuni esseri umani ancor prima che venisse definito come anarchismo. Ovvero l'odio verso l'oppressione unito al desiderio di non sostituirsi ad essa. Al contempo, emergono tutti i limiti di quando qualcosa non è vivo: invecchia e muore. Se l'archivio è uno spazio di memoria e di ricordo, non ha nulla da trasmettere a chi ha solo desiderio e passione da offrire al mondo. Per questo la mera testimonianza di sé, questo principio stoico della resistenza passiva di fronte ad un mondo che cambia è semplicemente un modo per procrastinare la propria fine. Al contempo, non è inseguendo questo mondo che si otterrebbe una differenza sostanziale: la forma e la sostanza sono correlate. Cambiare forma, adattandosi alla mediocrità intellettuale ed alle soglie dell'attenzione ormai misurabili in nanosecondi non eviterà di tradire l'essenza e la complessità intrinseca all'anarchismo. Piuttosto, occorre problematizzare il presente, capire come cambiano i processi logici e mentali e decidere quali sono le soglie che non si vogliono superare, quali sono i limiti che, sicuramente, diminuiranno il numero di coloro che sono disposti ad ascoltare, ma che al contempo preserveranno per il futuro qualcosa che non deve essere distrutto dall'ansia di rincorrere un vano tentativo di essere comprensibili ad una massa che vuole solo rinchiudersi nel mondo cacofonico e stordente dei video da tre secondi.
L'anarchismo ed il "movimento"
Per gran parte della storiografia, soprattutto marxista, l’anarchismo era di volta in volta descritto come un’ideologia morta, morente o destinata a morire, a seconda del periodo di cui uno si occupava, e gli anarchici erano sempre dei perdenti e non potevano essere altro che questo. Di fatto riprendeva il giudizio lapidario e ideologico formulato dallo stesso Marx, che in sostanza aveva bollato l’anarchismo come una forma di settarismo tipico delle fasi iniziali dello sviluppo del proletariato. Giudizio mantenuto nel tempo che considerava l’anarchismo sempre dalla parte sbagliata dell’inesorabile corso della storia. Il compito della storiografia marxista era quello di spiegare perché le cose non avrebbero potuto andare altrimenti. Considerando l’anarchismo un movimento utopico e inefficace per la trasformazione sociale, anzi un’ideologia borghese o piccolo-borghese rivolta a strati emarginati della popolazione, quindi esclusi alla modernità, anziché al proletariato protagonista della lotta di classe, in sintesi la storiografia marxista lo ha sempre presentato come un movimento socialmente arretrato.
Perché l'anarchismo prova questo senso di inferiorità storico/culturale nei confronti del marxismo? Difficile rispondere a questa domanda. Certo, nessuno dice di bruciare i libri, perché si dovranno pure conoscere le tesi di chi ha una visione del mondo diversa, ma perché dedicare loro spazio sugli scaffali degli archivi e delle biblioteche anarchiche? Quanto meno fossero segregati negli scaffali di "cultura generale", insieme ai libri di cucina e alla biografia di Emilio Fede scritta da Bruno Vespa. Tralasciando i facili lazzi, il problema è che l'anarchismo dovrebbe affrontare questo senso di inferiorità. Proteggersi, insomma, da coloro che quando sono forti sparano alle spalle - anche letteralmente - e quando sono deboli si scoprono libertari ed eterodossi. Che ci possano essere intuizioni valide, ciò è al di fuori di ogni dubbio, ma che esse debbano essere prese, ripulite e rielaborate è elemento altrettanto evidente. Insieme ad alcuni concetti brillanti che possono coinvolgere e stimolare, infatti, facciamo entrare nel nostro mondo anche molti altre proposizione tanto velenose quanto clandestine. Il pensiero anarchico dovrebbe avere il coraggio di assumersi la responsabilità di costruirsi le proprie basi in maniera auotonoma, saccheggiando certamente da altri mondi, ma riproponendola sulla base di una prospettiva antiautoritaria.
Anche dal punto di vista storico occorre quindi diffidare dalle storiografia marxista e liberale. Si pensi ad Hobbsbawm, che pone gli anarchici tra i ribelli e non tra i rivoluzionari. Tuttavia, il rischio di "fare da sé" è l'apologia e l'agiografia. Gli idoli sono facili da innalzare. I modelli di vita sono così esplicativi e così facili all'immedesimazione. Non a caso le vite dei santi hanno rappresentato per il cattolicesimo una propaganda assai più efficace della messa latina tra il popolino. Così, manca la capacità di essere realmente autonomi nel proprio pensiero: autonomi dalla moda culturale, dal nome altisonante condiviso anche al di là del ristretto ambiente anarchico, e autonomi dal richiamo allettante della muta canettiana che cerca qualcosa intorno a cui aggregarsi con danze e miti.
Nell'epoca della moltiplicazione delle verità, la storia assume sempre più un uso politico e strumentale. Stereotipi, luoghi comuni, emozioni e ripetitività costante nella comunicazione diventano elementi di sostegno della propria analisi al pari delle fonti. Eppure, anche qui l'anarchismo dovrebbe essere in grado di distinguersi, stretto tra una Verità unica e assoluta e tante verità ideologiche prodotte da gruppi di potere contrapposti. L'anarchismo dovrebbe porsi la sfida della non-verità, il rischio di vivere al di fuori della certezza e senza la presunzione di porsi al riparo dalle proprie scelte quotidiane. Questa è una posizione profondamente antitetica a quella di qualsiasi chiesa o aspirante tale.
Sebbene gli archivi mettano spesso in evidenza le correnti intellettuali che hanno plasmato i movimenti radicali, essi conservano anche le pratiche quotidiane – le tattiche e le strategie – che hanno sostenuto quelle lotte. Partiamo dalla convinzione che il cambiamento sociale possa avvenire in modo più efficace quando i gruppi emarginati e oppressi possono conoscere – e raccontare – le proprie storie “dal basso”. Le raccolte archivistiche sfidano l’attacco diffuso alla memoria collettiva e alla tradizione degli oppressi. Puntano a contrastare le narrazioni dell’inevitabilità storica e del pessimismo politico con la prova vivente che molte lotte continuano. In questo senso, gli archivi non servono semplicemente a conservare il passato; sono risorse per i movimenti contemporanei. Funzionano come “cassette degli attrezzi”, contenenti una ricchezza di approcci che possono essere riscoperti, reinterpretati e messi alla prova di fronte alle realtà attuali.
Questa è una visione molto ottimistica della realtà. Forse che questo ottimismo sia correlato all'indeterminatezza dei termini utilizzati? Cosa sono i movimenti radicali? Cosa sono le lotte? Cos'è la memoria collettiva e la tradizione degli oppressi? Andiamo in Val Susa, solo per riaprire una vecchia ferita. Chi decide cosa far entrare nella memoria collettiva e come farlo entrare? I rapporti di forza all'interno del movimento che dovrà scrivere quella storia e creare una tradizione. Ed è li che si entra nella politica, nel piccolo parlamento alternativo. Provate su quelle montagne a chiedere di quel Natale del 2014, in cui tutti erano più buoni e le cose avvenivano… a stormo! Probabilmente sarà stato tutto normalizzato nella grande pattumiera pacificatrice dell' erano solo scazzi. Già, questo accade quando in quelle categorie indeterminate non si vogliono porre dei distinguo semplici come il rifiuto della gerarchia esterna quanto di quella interna. Allora, il rapporto dell'anarchismo col mondo dovrebbe essere basato piuttosto sulla chiarezza e non sull'indeterminatezza. Utilizzare un approccio chiaro nella raccolta e nell'assemblaggio della cassetta degli attrezzi perché, sia mai, non vengano usati quegli stessi attrezzi con la prospettiva di agevolare il recupero e non la conflittualità permanente.
Uno sguardo o una lotta?
Se infatti per storiografia anarchica si intende una concezione della storia, cioè un insieme di idee e teorie che cercano di spiegare il passato dell’umanità e il suo significato, allora è forse preferibile il termine “sguardo anarchico” inteso come pratica storiografia della ricerca tout court. Uno “sguardo” che possa indirizzarsi a studiare e interpretare anche periodi, tematiche ed eventi più lontani dalla storia contemporanea e che si riferiscono ad esempio alla storia moderna e medievale. Porsi la domanda se è possibile uno sguardo anarchico sulla storia è intrinsecamente collegato a uno sguardo anarchico sulle fonti – e quindi sugli archivi, tutti gli archivi, anche i nostri – che sulla scia del celebre invito di Benjamin devono essere sempre passate “a contropelo”.
Torniamo alle domande scomode da porsi: e allora a cosa serve la storia? E questa volta, all'indietro, a cosa serve più in generale la conoscenza del mondo? Manca tuttavia sempre un passaggio. Conoscere serve a prendere delle decisioni, serve a fare delle scelte, serve a vivere. Così, come la storia. Ma se la conoscenza può servire anche ad una mera sopravvivenza biologica, la storia, da una prospettiva anarchica, dovrebbe servire a prendere delle decisioni nel momento conflittuale che stiamo vivendo in questo istante, ovvero all'ideazione e al tentativo di realizzazione del progetto rivoluzionario. Questo però, se è vero che viene sviluppato a livello individuale, si intreccia con i progetti rivoluzionari di altri individui, ed il comune metodo storiografico quanto una coincidente valutazione storica sugli avvenimenti passati può essere un canale di comunicazione per cominciare un ragionamento rivolto invece al presente e magari anche al futuro. Allora questo contropelo cos'è se non il tentativo di capire la specifica prospettiva comune che muove ogni raccolta, ogni archivio, ogni pubblicazione? E questa specificazione, questo ragionare sul mondo a carte scoperte rispetto alla propria prospettiva sul processo rivoluzionario, perché dovrebbe essere qualcosa da celare e non da anteporre quasi come fosse una dichiarazione d'intenti riguardo alla direzione dei propri sforzi?
Un rinnovamento che passa anche dall’individuare un nuovo oggetto di studio anch’esso trascurato, dimenticato o sbrigativamente liquidato come i movimenti storici sconfitti o perdenti. Da questo punto di vista la storia dal basso diventa (anche) storia delle culture alternative, e si potrebbe aggiungere antagoniste e “rivoluzionarie”. Culture alternative e antagoniste che si sono espresse e si esprimono soprattutto (anche se non esclusivamente) attraverso movimenti collettivi di donne e uomini, tra i quali c’è lo stesso movimento anarchico. [...] sarebbe in tal modo possibile allargarsi ad altre periodizzazioni della storia oltre a quella contemporanea (nel senso dell’Ottocento e del Novecento, dove hanno preso forma molti movimenti antagonisti), proprio nella prospettiva di uno sguardo anarchico su tutta la storia.
Se parlassimo dell'anarchismo solo come una corrente politico-filosofica figlia dell'illuminismo non potremmo scorrere all'indietro la linea del tempo cercandone gli antecedenti. La concettualizzazione ne sarebbe l'origine prima per definizione. Eppure l'anarchismo è semplicemente la formalizzazione di un istinto di libertà che si contrappone alla tendenza sociale dell'accentrare il potere ed esercitare oppressione. Tuttavia, per riconoscere le idee nelle loro conseguenze e nelle loro pratiche, e non dai loro nomi, occorrebbe sapere quale chiarezza di intenti stiamo cercando negli altri quanto in noi stessi, altrimenti il risultato è solo un gran guazzabuglio. Per questo tanto lo studio che la conservazione dovrebbero partire da premesse chiare e condivise con chi si approccia tanto al libro che allo spazio fisico. Cosicché la lente attraverso cui viene guardato ed interpretato il mondo sia dichiarata senza mezzi termini, e appaia evidente la molteplicità delle possibilità tanto interpretative che di scelta.
Senza dubbio anche su questa questione [quella del rapporto con il paese d’origine e, di conseguenza, sulla questione della definizione da dare al nazionalismo e all’internazionalismo, che non ha mancato di dividere e forse divide ancora le correnti anarchiche N.d.R] è più pertinente parlare non di sguardo anarchico, ma di sguardi anarchici sulla storia.
Libri come confine culturale
DA QUI IN POI DEVO RIVEDERE O FINIRE DI SCRIVERE
Facciamo lo sforzo di attingere la cultura dell’imbroglio e della mistificazione per pisciarci sopra e andare avanti, facciamola nostra, nei limiti del buonsenso e dell’accessibile, ma non facciamocene un cruccio se misteriosi segnali di specialisti ci sbarreranno il passo, si trovano là apposta per quello, per scoraggiare la nostra intraprendenza, andiamo avanti, buttiamo alle ortiche quello che è, in fondo, semplice passatempo di perdigiorno pagati proprio per fare sfoggio di consolidamenti dello sfruttamento. Quando la cultura è viva, libera finalmente da tutti gli escrementi che la soffocano, quando le cose essenziali si trovano sotto gli occhi di coloro che vogliono vederli, allora la salvezza dalla morte intellettuale è ancora possibile. Certo, l’impegno non è da poco, e molti potranno scoraggiarsi nella loro opera di separazione del grano dal loglio, ma bisogna andare avanti, andando avanti ci si riempie di gioia, ci sembra quasi di esplodere sentendo dentro di sé la vita, dove si aprono meandri sempre più articolati e meravigliosi, e c’è da disperarsi nel pensare a quanti delitti orribili vengono commessi dal maledetto meccanismo che ci toglie questa possibilità facendoci giocare con il solito ignobile pupazzo. La solitudine dei residui derealizzati, una volta capita fino in fondo, mi renderebbe pazzo della mia impotenza e mi rinchiuderei nella disperazione, nell’odio e nell’ottusità se continuassi a pascermi di quella merda culturale che l’accademia spreme a uso di imbecilli che la ritengono il solo alimento dell’intelligenza. Non posso nemmeno seriamente accettare l’alibi della preparazione più alta, di una specializzazione in attesa dell’attacco, perché, dopo tutto, sempre di cultura si tratta. No, questa illusione sarebbe ridicola e delittuosa. Ma come fare? Come trovare il punto esatto in cui chiudere il libro e guardare avanti? Come decidersi per l’attacco qui e ora?[2]
cultura come formazione. Pedagogia? Un processo finalistico volto al miglioramento. L'idea della forma perfetta, espressione dell'uomo che realizza la "finale" natura umana. Oppure, secondo l'illuminismo, il prodotto, ovvero il risultato del processo di miglioramento, l' <quote> insistere dei modi di vivere e di pensare coltivati, civilizzati, ripuliti che si sogliono anche indicare con il nome di civiltà </quote>[3]. per i sociologi o gli antropologi è l'istituzionalizzazione delle pratiche e delle idee, dove la cultura Non sono incluse le attività utilitarie (mestieri) Inizialmente non è religiosa, ma nel medioevo diventa strumento per la comprensione, la difesa e la dimostrazione della verità religiosa.
Distinzione tra i sapienti, che possiedono la cultura e chi non l'ha. L'illuminismo la universalizza. L'industrialismo la specifica e la specializza nel particolarismo, creando un noi e un loro, diversamente dalla formazione disinteressata dell'aristocratico alla vita contemplativa.
Libri come ancora di salvataggio esistenziale
Oppressi da questi interrogativi, stavamo per porre fine a Gratis e rinunciare definitivamente ad ogni pubblicazione, quando il caso ha voluto che ci imbattessimo nelle parole di chi ha vissuto, involontariamente o volontariamente, in esilio. Come quello scrittore russo che non ha ceduto allo sconforto nemmeno dopo essere stato spedito a marcire in Siberia in un villaggio di abbrutiti — «Per me poco male, io ho la possibilità di non parlare con gli uomini, di non vederli. Il libro me li sostituisce. Ma per gli altri vivere qui sarebbe impossibile». Come quell’oscuro poeta francese che, ritiratosi in uno sperduto mulino a vento, scoprì che «meditare sul verbo, segretamente, per la salvezza dell’anima e l’onore dello spirito, è diventata con la fine dei tempi una necessità assoluta. Quando tutti tradiscono, non è né bello, né grande, né eroico essere onesti: è solo essenziale per preservare l’onestà». Non siamo soli, non siamo mai stati soli.[4]
I nostri libri non vogliono un pubblico, sono a disposizione di singoli lettori. Offrono una possibilità in più di non parlare con i contemporanei, vengono incontro ad una certa necessità assoluta.[5]
XXX
Io ho difficoltà a immaginare di essere capito, non mi capita spesso e non vedo perché deve accadere giusto adesso, di fronte ad un fatto di tale portata. E poiché ho fatto l’abitudine a questa tragica condizione di lavoro, vado avanti. Potrei lanciare un appello lancinante, per favore fermatevi un momento a riflettere, potrebbero essere queste le ultime righe che vi indirizzo, considerata la situazione oggettiva in cui mi trovo, ma non sarebbe che un sotterfugio per richiamare attenzione per pietà. Lontano questi sepolcri imbiancati, lontano da me.[6]
Libri come armi
Tu vuoi avere notizie su questa faccenda degli assassini a Buenos Aires. No, le notizie che hai tu sono completamente false. [...] L'unico episodio grave è quello di Arango. È un episodio terribile per il fatto in se e per come è avvenuto. Ma è notevole il numero dei compagni di ogni corrente, inclusa la nostra, che spiegano la cosa, non si meravigliano e non se ne lamentano troppo. È stato fatto un male per un bene - ho sentito dire. Di certo Arango era molto odiato, era così settario da giungere alla più perfida cattiveria. Come i gesuiti e i bolscevichi, pensava che tutte le armi fossero buone contro gli avversari della sua tendenza, ed avendo dalla su ala forza di un quotidiano, abusava di questo privilegio senza scrupoli. D'altra parta chi lo ha ammazzato è un San Paolino [riferimento a Paolo Schicchi, n.d.r.] dotato del triste coraggio di portare a termine qualsiasi atto e la cui stessa condizione disperata di illegale lo pone fuori dalla possibilità di conservare la calma. Va detto che era stato attaccato dal quotidiano La Protesta nella maniera più oltraggiosa e diffamatoria, che l'aveva definito spia e mille altre cose. Il suo odio contro Arango e gli altri era enorme, più un odio personale che di tendenza [...] Ma questo non diminuisce l'orrore dell'episodio.[7]
Se tu sapessi quante traduzioni abbiamo tra le mani! Per il libro, per i quaderni, per gli opuscoli, per il giornale! Intendiamoci! Vorrei esporti tutte le mie idee ed allora vedresti la loro vastità. Noi italiani all'estero dobbiamo far rivivere tutte quelle iniziative che in Italia erano l'ambizione del nostro movimento. Il libro è una di queste iniziative. I compagni che possono devono dare tutto per la buona riuscita. Vedrai che il mio sogno si realizzerà. È da anni che penso di raccogliere in volume gli Scritti Sociali dei diversi compagni scomparsi, e non scomparsi anche, e che rimangono tuttora sparsi in rare pubblicazioni. Leggere Reclus, Ciancabilla, Merlino, Flores, i due Molinari, Galleani, Malatesta, Fabbri (pure Fabbri, anche se lui pensa che io sia antediluviano) per non parlare di altri ancora che vorrei pubblicare. Deve essere qualche cosa di cui i compagni i compagni non manchino di riconoscere il valore. Ed una collana di Scritti Sociali non riguarderà solo il campo italiano, ma - come nel caso di Reclus - anche quello francese, inglese, spagnolo, tedesco, russo. Insomma, il pensiero anarchico visto attraverso il poliedrico prisma delle diverse individualità. Tu, Fabbri, Nettlau ed altri, non dovreste date il vostro appoggio incondizionato ad una simile iniziativa? [8]
Come sogno delle volte, negli ozi che mi obbliga la vita attuale, un mondo nostro tutto di armonia: ogni tendenza riposante nelle proprie iniziative, senza mai urtarci, senza mai annientarci per essere più forti nel domani quando dovremo correre tuti alle grandi battaglie della rivoluzione. Ma sono sogni…! [9]
+ aldo aguzzi
Una cassetta degli attrezzi da immaginare,
non un'associazione
Gli archivi
PEZZICA archivi possono essere ufficiali o di movimento, da prendere in contropelo (ma anche come contenitore/strumento), ed è necessaria un'archivistica specifica per l'anarchismo. cosa si vuole salvare e cosa no? il potere della memoria e dell'oblio. nuove tecnologie. ma anche come leggere e come interpretare, ovvero che rapporti sociali si vogliono alimentare. Archivio di stato ministro interni e non scuola: preservazione e controllo delle carte. Esiste anche nell'anarchismo? FELICI sfide sono:
lingua
volatilità
nuove tecnologie RISSO intrecciano sguardi transnazionali, immagina metodi di ricerca che organizzano ma non costringono all'omologazione, incoraggia lo scambio di conoscenze, chiarificazione delle prospettive.
Dalla proposta dell'archivio dell’anarchismo insurrezionalista e rivoluzionario (A.A.I.R.)[10] ad oggi cosa è cambiato?
I periodici
Cerchiamo, prima di tutto, di rispondere alla domanda: che cos’è l’informazione rivoluzionaria anarchica? Sembrerà strano, ma le risposte possibili sono due, a) è l’insieme delle azioni e delle documentazioni (di ogni tipo tecnico) che il movimento anarchico specifico produce nel corso della sua attività per stimolare la liberazione delle masse degli sfruttati, b) è l’insieme delle azioni e delle documentazioni (di ogni tipo tecnico) che le masse degli sfruttati producono nello sviluppo complessivo del processo della loro liberazione, è l’insieme delle attività del movimento reale che comprende – come parte integrante – tutte quelle forze rivoluzionarie che rifiutano il ruolo di guida e di egemonia in vista del raggiungimento del potere, a cominciare dagli anarchici.[...] Ne consegue che non tutte le azioni e tutti gli interventi di qualsiasi tipo, messi in atto dagli anarchici, possono farsi legittimamente rientrare nel significato che stiamo dando al concetto di “informazione rivoluzionaria anarchica”. In sostanza, il pericolo della ideologizzazione dell’anarchismo esiste sempre e molti compagni, senza accorgersene, lavorano a ciò. Ora, non è il caso di gettare la croce addosso a questi compagni che, spesso in buona fede (e spesso per un inconscio residuo egemonico), si fanno custodi del santo sepolcro, non accorgendosi che così non custodiscono che una mummia disseccata. Lo sforzo che dobbiamo fare è invece quello di scoprire i meccanismi oggettivi che rendono insignificante, ai fini rivoluzionari, un lavoro d’informazione che non parta dalle condizioni attuali del movimento degli sfruttati e non si ponga come momento di questa condizione.[11]
Il contesto attuale europeo
informazione e controinformazione nei tempi di guerra saranno affette sempre più profondamente dalla manipolazione di singoli stati
al contrario degli USA, nell'Unione Europea non abbiamo un linguaggio comune largamente utilizzato nelle nostre pubblicazioni o nei dibattiti (almeno in Italia, dove le cose nascono e muoiono in italiano
se le infrastrutture oltrepassano materialmente le frontiere, le notizie delle azioni dirette restano relegate in uno spazio neutro virtuale
la sensazione di essere incapaci a far nulla può essere contrastato solo da un dibattito da cui nascano riflessioni e progetti
l'affinità tra individui ha bisogno di opportunità di incontro per essere costruita, anche attraverso le frontiere
Proposta del 2023
Temi e contenuti
1) Testi scelti (corti) dal passato 2) Idee per il dibattito anarchico 3) Idee per un'analisi anarchica di ciò che accade 4) Incontri ed eventi 5) Nuove pubblicazioni (giornali, riviste, libri)
Un'ipotesi organizzativa
1) Assenza di un unica redazione ma redazioni locali che fanno una selezione dei contenuti che apprezzano 2) Sistema basato sul Web (non pubblico) per la traduzione e la scelta dei teti antecedente alla stampa 3) Edizioni testo a fronte (lingua originale + inglese o la lingua dell'edizione locale se è disponibile la traduzione) 4) Generazione del numero impaginato dalle edizioni locali tramite software di auto-impaginazione 5) Incontri organizzati con una frequenza stabile per discutere degli ultimi numeri stampati
Iconoclastia letteraria
Alcuni libri hanno la capacità di disvelare uno scorcio della vita di chi li ha scritti ben al di là delle reali intenzioni e di quanto si sarebbe voluto mostrare di sé. Travalicano le idee ed il loro elegante coincidere in strutture, assiomi, sistemi ed architetture, squarciando con i limiti e le mancanze umane quanto sarebbe altrimenti apparso perfetto ed immutabile. L'inganno delle idee, infatti, ruota anche intorno alla costruzione del mito di chi le ha formalizzate. Non solo certe idee sono esistite ben da prima che ce ne fosse una forma scritta per cui attribuirne il merito, ma esse spesso sgorgano da incontri e scontri tra diverse individualità e di certo è raro che vengano concepite attraverso percorsi autonomi ed isolati del pensiero. Tolto quindi chi coltiva il senso dell'anonimato, quel desiderio di affidarsi al buio della foresta perché custodisca gelosamente quanto ruota attorno al pensiero, resta il problema del peso dei nomi e del faro che puntano sul modo in cui conduciamo la nostra avventura terrena. Certo, esistono vite più o meno conseguenti, in cui il pensiero non si è tramutato in opinione ad uso e consumo dell'industria editoriale o dell'accademia, in cui i pensieri sono diventati piuttosto idee brucianti la trama dell'esistente, ma in ogni caso anche queste vite si scontrano con l'imperfezione. Esse sono fatta anche di imperfezione, fallimento e non consequenzialità. E sono proprio i libri che trasudano tra le righe questa imperfezione umana che vanno custoditi. Perché demoliscono i miti senza pietà alcuna, minano le fondamenta del sèguito e ci lasciano, desolatamente, al centro di una pianura senza punti di riferimento e idoli da pregare. Perché gli oracoli da interrogare mettono sempre a tacere la voce che invece domanderebbe piuttosto chiarimento a noi e in noi stessi. E anche se contro la loro volontà, ciò avviene anche per gli oracoli anarchici, ed è per questo che ognuno di noi è responsabile di ciò che chiede e delle risposte che si aspetta. Perché sarà allora che dovremo cercare in noi la direzione, variabile essendo noi stessi misura di tutte le cose pur nella nostra stessa inconsistenza, in cui muovere quei pochi e vacillanti passi che avremo modo di fare nella nostra esistenza. D'altronde questa è una sorta di senso ultimo dell'anarchismo: assumersi la responsabilità del come ci si è giocati la vita, senza voler guidare né essere guidati, cercando piuttosto nel tragitto stesso soddisfazione al desiderio di libertà nei tempi e nei modi che solo noi sapremo giudicare. E che agli altri si lasci il prezioso compito di demolirci.
[1] tutte le citazioni di questa sezione provengono dal bollettino n°65 del Centro Studi Libertari Pinelli di Milano, pubblicato e pensato per la BOAB, Bologna Anarchist Bookfair, del 5-6-7 settembre 2025. https://anarchistlibraries.network/entry/XXXXX
[2] https://anarchistlibraries.network/entry/29270#toc12 Chiudere il libro
[3] Abbagnano, dizionario di filosofia
[4] https://anarchistlibraries.network/entry/XXXXX Gratis catalogo in rivista da caricare ancora
[5] https://anarchistlibraries.network/entry/XXXXX Gratis catalogo in rivista da caricare ancora
[6] https://anarchistlibraries.network/entry/29219 Annotazione di Anfissa
[7] https://anarchistlibraries.network/entry/77302 Severino di Giovanni, il pensiero e l'azione (2025) pg 307
[8] https://anarchistlibraries.network/entry/77302 Severino di Giovanni, il pensiero e l'azione (2025) p303
[9] https://anarchistlibraries.network/entry/77302 Severino di Giovanni, il pensiero e l'azione (2025) p299
[10] https://anarchistlibraries.network/entry/29311#toc17 Proposta archivio insurrezionalista
[11] https://anarchistlibraries.network/entry/29336#toc32 Due prospettive sull'informazione rivoluzionaria anarchica